Le richieste
dei Tamashek
L’Azawad, di cui i Tuareg chiedono
l’indipendenza, è un vasto
territorio comprendente le regioni di Timbuktu, Gao e Kidal. E’ stato al centro
delle rivolte (1963, 1990, 2000, 2006-2008) contro il Governo centrale che
cercava di imporsi nell’area. L’affermazione parziale dell’autorità statale, ha
permesso alla criminalità organizzata ed allo jihadismo nordafricano di
rifugiarvisi trasformandolo in un importante crocevia per il traffico di droga
e di armi.
Secondariamente, la zona è stata
colpita da una grave siccità nel corso del 2011, che ha provocato l’aumento dei
prezzi cerealicoli ed una grave crisi alimentare. Si calcola infatti che quasi
tre milioni di maliani siano a rischio malnutrizione. Il fiume Niger,
principale risorsa idrica del Paese è a rischio a seguito dello sfruttamento
intensivo del suo letto. L’attività umana ha portato ad un abbassamento della
linea del corso d’acqua, con una conseguente diminuzione delle ricariche di
acque sotterranee e una maggior difficoltà nell’accesso al pompaggio a portata
bassa. Le difficoltà nell’irrigazione si ripercuotono sulla coltivazione del
mango, il principale prodotto agricolo esportato dal Mali.
Il Movimento Nazionale per la
Liberazione dell’Azawad nasce con la “fusione” della milizia di Ibrahim Ag
Bahanga -morto in un incidente d’auto lo scorso 26 agosto 2011- con i tuareg
reduci dalla Libia guidati da Mohamed Najim. Quest’ultimo, arruolatosi
nell’esercito di Gheddafi dopo gli accordi di pace tra la sua gente e il
Governo nel 1992, è rientrato in Mali alla caduta del dittatore libico.
Attualmente ricopre il ruolo di Capo di Stato Maggiore del gruppo e può fare
affidamento su un entourage composto da ufficiali disertori dell’esercito
maliano e dell’ex colonia italiana.
Le forze ribelli possono appoggiarsi ad
alcuni importanti alleati. In primis Iyad Ag Aghaly, ex consigliere culturale
dell’Ambasciata maliana in Arabia Saudita e leader del gruppo salafita Ansar
al-Din (Difensori della Fede). Capo della rivolta degli anni novanta, ha
servito il Governo maliano fino al 2011 in qualità di mediatore delle dispute
tra le tribù tuareg. Secondariamente possono contare sul supporto di Abu Zeid e
di Abdel Karim Targui, due emiri qaedisti che partecipano attivamente ai
combattimenti nel Nord del Paese. Un altro sostenitore della causa del MNLA è
l’ex ambasciatore libico in Niger Husayn al-Kuni, attualmente governatore di
Ghat, il quale controlla la strada attraverso cui passano i rifornimenti di
armi ai guerrieri maliani e ciadiani.
La maggioranza degli abitanti dell’Azawad
sostiene tuttavia l’integrità territoriale delle entità amministrative
esistenti. La rivolta viene piuttosto percepita come il tentativo di alcuni leader,
scontenti della politica governativa nella zona, di approfittare del caos
seguito al ritorno dei Tamashek arruolatisi in Libia, per avanzare nuove
richieste ed ottenere più benefici.
Abderrahamane Ould Meydou, l’ex
comandante di Bani Walid Ag Mohamed Bashir e il colonnello Maggiore Elhadji
Gamou, sono i militari originari
della regione a cui è stata affidata la direzione delle operazioni contro
l’MNLA. Gamou, comandante della milizia “Delta”, fu colui che distrusse le basi
del leader ribelle Ibrahim Ag Bahanga durante l’ultima rivolta scoppiata nel
2006 e conclusasi nel 2008.
L’ex
Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Ahmed Diane, in una sua
dichiarazione a sostegno
dell’integrazione della popolazione saheliana con quella maliana, aveva reso
noto come soltanto un centinaio dei 3600 dei tuareg arruolatisi nell’esercito avesse
disertato. Dei 400 militari di
ritorno dalla Libia ben 300 si erano schierati con Bamako e sono attualmente
impegnati nella zona di Kidal e Tessalit sotto il comando di Gamou. Le milizie
di Waqqi Ag Ossad e di Inackly Ag avevano giurato fedeltà a Touré.
Gli attacchi
dell’MNLA
L’offensiva scatenata dal movimento di
Mohamed Najim il 16-17 gennaio 2012 si può suddividere in tre fasi. In primis, una
breve occupazione (fino al 20 gennaio) delle città di Menaka, Anderamboukane,
Aguelhoc e Tessalit, utilizzando la tattica del “mordi e fuggi”; attacchi lampo
ad obiettivi governativi, non avendo a disposizione i mezzi necessari a sostenere
l’avanzata.
L’uccisione
di 41 soldati ad Aguelhoc, provoca violenti proteste anti-tuareg in tutto il
Paese. Negozi e abitazioni di proprietà dei Tamashek vengono danneggiati o
saccheggiati. Tra le “vittime” note dei disordini, ci furono l’ex Ministro
delle Arti e della Cultura Zakiatou Walet Halatine e il professore
universitario Aboubacrine Assadek Ag Hamahady, che fuggono precipitosamente dal
Paese. Nonostante il Presidente abbia invitato alla calma, la situazione rimane
tesa.
Un
peggioramento dei rapporti tra le comunità, favorirebbe la propaganda dell’MNLA
e dell’AQMI, i quali fanno dell’appartenenza identitaria uno dei pilastri fondamentali
della loro ideologia. Nonostante il movimento maliano abbia il sostegno di
alcuni emiri qaedisti, ha sempre negato il legame con il gruppo jihadista.
Mahmoud Ag Aghaly, portavoce degli insorti ha dichiarato: “non abbiamo niente a
che vedere con Al Qaeda, non siamo trafficanti di droga e non c’entriamo nulla
con i rapimenti di occidentali”
L’intervento
delle truppe regolari porta alla liberazione delle città precedentemente espugnate.
Nonostante la ritirata e i danni subiti, i ribelli riescono a conquistare il 26
gennaio Lere e Nianfounke, l’8 febbraio Tinzawatene, il 16 Lere, Nampala e Inhalil,
il 17 Gao e il 18 Youwarou. Ciò che sorprende, è la capacità dei
guerriglieri tuareg di colpire città geograficamente distanti tra loro: Menaka
confina con il Niger, Nianfounke con la Mauritania e Tessalit con l’Algeria.
L’esercito guidato dal colonnello Gamou
con il sostegno di elicotteri da combattimento riesce a riprendersi le città perdute
tranne Tessalit, rioccupata dall’MNLA l’11 marzo 2012.
Con l’offensiva avviata dopo il colpo
di Stato, i ribelli riescono a “liberare” l’Azawad, proclamandone
l’indipendenza il 7 aprile 2012. Il 30 marzo si sono impossessati di Kidal, il
31 di Gao e il 2 aprile di Timbuctu. Le difficoltà delle forze maliane nel
debellare l’offensiva Tamashek preoccupano in vista delle elezioni del 29
aprile 2012.
Un ulteriore problema collegato alla
tornata elettorale riguarda la fuga di 170000 maliani nei Paesi circostanti a
causa degli scontri. Le agenzie internazionali e le Organizzazioni No Profit
(ONG) come il Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), Medici
Senza Frontiere (MSF) e la Croce Rossa Internazionale (CIR) sono già intervenute
con la creazione di campi profughi e la distribuzione di generi alimentari ma
non è sufficiente. Gli interventi umanitari, scarseggiano per la paura dei
rapimenti e per la violenza dei combattimenti. Secondariamente, il mancato
rimpatrio dei rifugiati influisce sull’aspetto organizzativo delle votazioni. I
problemi nell’allestimento dei seggi, nella consegna delle tessere e nella
compilazione delle liste elettorali “indebolirebbero” l’esito del voto
nazionale.
“L’impatto
militare” sulle votazioni del 2012
Il
21 marzo 2012 i soldati della guarnigione di Kati alle dipendenze del capitano Amadou
Sanogo sono insorti contro il Governo occupando rapidamente il Palazzo
Presidenziale e la televisione di Stato e destituendo il Presidente Amadou
Toumani Touré, reo di non fornire sufficienti mezzi e munizioni per contrastare
la ribellione separatista. La giunta militare, autonominatasi Comitato
Nazionale per la Restaurazione della Democrazia e dello Stato (CNRDRE), introduce
il coprifuoco, scioglie le istituzioni e sospende la Costituzione. Il Colpo di
Stato non incontra particolare resistenza e provoca solamente tre morti. L’ex
Capo di Stato si rifugia in una caserma militare con le sue guardie del corpo mentre
alcuni membri del precedente esecutivo come gli ex Ministri Someylou Boubeyè
Maiga e Kafougouna Konè vengono arrestati.
I militari vogliono debellare la
ribellione dei Tuareg nel Nord del Paese, approntare una nuova Costituzione che
garantisca il diritto di sciopero e di manifestazione e favorire lo svolgimento
delle elezioni fissate il 29 aprile in cui nessun membro del CNRDRE potrà
candidarsi.
Nonostante la manifestazione di solidarietà
a Bamako il 28 marzo e l’appoggio del Partito Africano per la Solidarietà,
Democrazia e Indipendenza (SADI), il golpe è stato duramente condannato dalla
comunità internazionale. Gli Stati Uniti, la Francia e l’Unione Europea hanno
minacciato di sospendere gli aiuti economici destinati al Mali. La Comunità
Economica dei Paesi dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha dato tre giorni di
tempo alla giunta militare per dimettersi evitando nuove sanzioni e il blocco
dei confini. “Qualora i rivoltosi non abdicassero, l’Organizzazione africana non
esclude l’invio di un contingente armato nel Paese” (Alassane Ouattara).
La maggior parte degli esponenti
politici locali, in primis Soumaila Cissè (Unione per la Repubblica e la
Democrazia o URD) e Ibrahim Boubacar Keita (Rally per il Malì o RPM), ha
criticato Sanogo per non aver atteso il 29 aprile giorno della scadenza del secondo
mandato di Touré. Quest’ultimo, avrebbe dovuto lasciare la sua funzione, essendo
escluso per legge un terzo incarico presidenziale. L’establishment politico non
ha rinunciato al dialogo con i militari, volto a trovare un compromesso che
eviti al Paese l’interruzione degli aiuti internazionali e l’isolamento politico
favorendo la ribellione tuareg. Tiébilé Dramé, tra i fondatori del Fronte Unito
per la Salvaguardia della Democrazia e della Repubblica (FUDR) aveva
dichiarato: “Restiamo ottimisti e contiamo sul fatto che i golpisti accettino
di sedersi al tavolo dei negoziati assieme alle forze vive del Paese che
vogliono chiudere rapidamente questa parentesi”.
Il 1 aprile 2012 Sanogo ha ripristinato
la Costituzione del 1992, in cui è previsto un periodo transitorio di 25-45
giorni -nel caso in cui il Capo di Stato non sia in grado di svolgere le sue
mansioni- prima di realizzare nuove elezioni.
Il 10 Aprile, con l’intermediazione dei
Paesi dell’Africa Occidentale è stata superata l’impasse politica. Dopo le
dimissioni presentate dal Capo di Stato uscente Amadou Toumani Touré, Sanogo ha
concordato con i mediatori dell’ECOWAS la nomina dell’attuale Presidente
dell’Assemblea Nazionale, Dioncounda Traorè, a Presidente ad interim. Egli
dovrà nominare in tempi brevi un nuovo Governo di unità nazionale, che sia in
grado di organizzare le elezioni dopo lo slittamento di quelle del 29 Aprile
2012.
Conclusioni
L’accordo stipulato tra la giunta
militare e le forze politiche con la mediazione dell’ECOWAS ha permesso di superare la crisi
politica scaturita dal golpe. Secondariamente è stato evitato il blocco degli
aiuti internazionali fondamentali per l’economia del Paese africano. Nonostante
le elezioni siano state rimandate, la volontà di organizzarle il prima
possibile è un ulteriore passo verso la democrazia compiuto dal Mali.
Lo Stato africano si trova a dover
fronteggiare due problemi. In primis l’elevato numero di profughi causato dagli
scontri nell’Azawad. Per ridurre il dramma umano occorrerebbe incrementare gli
aiuti umanitari delle organizzazioni internazionali. La scarsità degli
interventi è dovuto alla paura dei rapimenti; se l’esercito maliano riuscisse a
stabilire vie sicure per i soccorritori, si ridurrebbe il numero di sequestri e
si riuscirebbe ad assistere i rifugiati.
Il secondo problema riguarda la
ribellione nel Nord del Paese. Il Movimento Nazionale per la Liberazione
dell’Azawad è insorto per il rifiuto di Tourè ad attuare gli accordi di Algeri
del 2006, i quali prevedevano la modernizzazione dell’Azawad in cambio della
rinuncia dei Tuareg a chiedere l’autonomia. Approfittando della scarsità di
mezzi dell’esercito regolare e dell’instabilità politica successiva al golpe, il
MNLA è riuscito a conquistare ampie porzioni di territorio. Il movimento
maliano, prendendo le distanze da Al-Qaeda nel Maghreb islamico, ha tuttavia
attutito la preoccupazione della comunità internazionale per una possibile
diffusione dell’integralismo islamico nel Sahel.
La salvaguardia dell’integrità
territoriale maliana è ritenuta fondamentale per la stipula di qualsiasi
accordo da parte di Bamako. Qualora una controffensiva militare dovesse
fallire, si potrebbe puntare sulla realizzazione del patto di Algeri, incentrato
su riforme socio-economiche che favoriscano gli investimenti nelle
infrastrutture, nella sanità, nell’istruzione e nella lotta alla
desertificazione del Sahel.
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