giovedì 27 novembre 2014

Il “metodo Burkina Faso”


Il presidente Compaoré ha ceduto il potere senza una carneficina. Una transizione imposta dalla società civile che può fare scuola in Africa e che è importante anche per l'Europa.

Siamo abituati a vedere putsch in Africa ma questa volta è diverso. Consigliato da più parti - anche dai suoi - di non insistere sulla modifica costituzionale che gli avrebbe permesso di ricandidarsi, l’ex presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré non ha ascoltato, scontrandosi con la sua opinione pubblica.


A partire da martedì 28 ottobre, per tre giorni interi la capitale Ouagadougou è stata investita da manifestazioni dell’opposizione e della società civile come non si era mai visto. Alla fine Compaoré ha ceduto e se n'è andato: è riparato prima in Costa d’Avorio, paese che aveva contribuito a pacificare durante la guerra civile, e poi in Marocco.

Nei tre giorni successivi alla caduta, i militari hanno tentato di sostituirsi al presidente che aveva governato per 26 anni il piccolo paese saheliano. Non ci sono riusciti. La piazza ha imposto una transizione civile, ha elaborato una carta, nominato un consiglio e ottenuto la nomina di un anziano diplomatico, Michel Kafando, alla guida dello Stato. Certo i militari hanno il posto di primo ministro e presiedono quattro ministeri importanti. Ma non saranno loro i protagonisti della primavera burkinabé.


Molti fatti spiegano questa novità. Innanzi tutto Compaoré non ha voluto resistere a prezzo del sangue. Vi sono state vittime, soprattutto giovedì 30 ottobre, ma non c’è stata alcuna carneficina. In questi anni l’ex leader è cambiato, trasformandosi lentamente da militare golpista a mediatore in molte crisi regionali. L’uscita è stata meno violenta di molte altre nel continente, anche recenti.

Inoltre i militari si sono ritrovati da soli di fronte alla piazza. Il cambiamento non è avvenuto tramite loro ma mediante una mobilitazione civile dalle proporzioni mai viste. La compattezza della società civile ha tenuto senza divisioni, dimostrando forte maturità. L’opposizione politica ha svolto il suo ruolo senza strafare, inclusa la forza politica scissa dal Cdp (l’ex partito al potere) circa due anni fa. Quest’ultimo fatto ha certamente indebolito Compaoré più di quanto lui stesso immaginasse.

Il “modello Burkina” di transizione potrebbe fare scuola in Africa. Una vicenda importante per il continente ma anche per l’Europa: il Burkina Faso infatti si trova in una zona delicata per ciò che concerne la penetrazione jihadista islamica, come si è visto con la crisi del Mali e con la più grave guerra libica.

Inoltre il paese é prossimo agli snodi dove transitano i flussi migratori verso la costa mediterranea. L’Italia ha da sempre ottime relazioni con Ouagadougou. Molte le Ong operanti. Iniziano anche a vedersi alcune operazioni economiche. Sostenere la transizione (deve durare un anno) affinché vada a buon fine è certamente un obiettivo.

Fonte: Limes (temi.repubblica.it/limes)

mercoledì 12 novembre 2014

Scoprire gli stereotipi sull’Africa

Negli incontri interculturali non basta la buona volontà o uno spirito empatico. La conoscenza, la gestione delle motivazioni e delle attitudini, la prevenzione dei potenziali dilemmi e conflitti sono componenti essenziali della preparazione del personale di qualsiasi organizzazione che si occupi, in Italia e altrove, di cooperazione o iniziative di solidarietà. Per questo motivo ho accolto con piacere l’invito della Società Internazionale Missionaria (Sim), e in particolare di Deborah Buselli, ad animare uno dei suoi incontri di formazione ad Asti, rivolti a cooperanti e volontari in partenza (in Kenya e Burkina Faso), mediatori culturali e altri operatori nel mondo della solidarietà internazionale. L’incontro si è intitolato Stereotipi sull’Africa e sugli africani: quali sono e come andare oltre e si è svolto il 6 aprile scorso, presso la Casa del popolo.
Ho parlato (e abbiamo discusso) dell’esistenza di alcuni grandi equivoci di fondo sull’Africa (soprattutto quella a sud del Sahara) che distorcono, non solo i nostri pensieri, ma anche le nostre azioni. In particolare, tra i tanti, ho scelto 10 di questi equivoci: che l’Africa sia un tutto unico; che sia una entità fatta di tribù e senza stratificazione sociale in classi; che sia “per essenza” caratterizzata dal legame con la tradizione e con la dimensione del villaggio; che sia una realtà al di fuori del tempo, senza sostanziali cambiamenti; che abbia avuto pochi contatti con la modernità; che non possegga una sua vita intellettuale, culturale e scientifica; che sia popolata prevalentemente da persone semplici, infantili e istintive; che abbia una scarsa vitalità politica e sindacale; che sia bisognosa di tecnologie “semplici” e rudimentali; che la sua religiosità tradizionale sia animista e primitiva.
Abbiamo riflettuto, aiutati anche da brevi filmati e documenti, su questi equivoci e sugli stereotipi che ne conseguono; su come tali equivoci siano confutati da numerosi dati della realtà che dimostrano il contrario; sulle loro origini (meccanismi di formazione di identità e contro-identità, interessi geopolitici, logiche del sistema dei media, ecc.) e sulle loro fonti, attuali e remote (resoconti di esploratori e missionari, etnografia coloniale, fonti stampa e radiotelevisive, fiction, cartoni animati, discorso politico, discorso religioso, discorso solidaristico, ecc.).
Abbiamo anche vagliato quali sono i concreti impatti di questi equivoci e stereotipi, ad esempio: occultamento delle “buone notizie” sull’Africa, quando ci sono (e ci sono); delegittimazione tout-court delle leadership africane; interventi di cooperazione non pertinenti; orientamenti neo-colonialisti nei rapporti tra i popoli; mancati investimenti in Paesi dove non ci sono problemi di sicurezza; cattiva accoglienza degli immigrati da parte della popolazione italiana; inadeguate politiche di integrazione (ad esempio, offrendo lavori dequalificanti rispetto al grado di istruzione posseduto dagli immigrati).
Ma di fronte a tutto questo, cosa si può fare? All’incontro della Sim abbiamo constatato quanto trovare le soluzioni sia complesso quanto identificare i problemi, e forse più. In ogni caso, alcune linee operative possono riguardare: la sensibilizzazione e il coinvolgimento degli operatori dei media italiani; una maggiore diffusione dei media africani presso il pubblico italiano; attività di educazione e sensibilizzazione nelle scuole; una più accurata e mirata formazione degli operatori della cooperazione; programmi per favorire la conoscenza diretta di persone e gruppi umani nei rispettivi territori; programmi e attività di contro-informazione (anche utilizzando i social networks); promuovere la ricerca scientifica sulle rappresentazioni sociali dell’Africa; riformare i sistemi di raccolta fondi, spesso basati sul richiamo sensazionalistico ai problemi dell’Africa e su uno scarso rispetto della privacy e della dignità delle persone ritratte. E, in generale: mai generalizzare le proprie esperienze fatte in un posto specifico; non fermarsi alle apparenze e approfondire sempre le informazioni; non fidarsi sempre ciecamente dei racconti di chi “è stato giù” (anche le persone di buon cuore sono spesso portatrici sane di stereotipi); diffidare, quando si legge o si ascolta qualcosa sull’Africa, di chi parla sempre e solo dei problemi e mai di quali sono gli attori locali che fanno già qualcosa per risolverli. Facile a dirsi, ma ci vuole studio, attenzione, tempo e molta pazienza.

Daniele Mezzana su www.corriereimmigrazione.it