giovedì 18 dicembre 2014

CRISI IN LIBIA: DAL MALI AL CIAD, “LAVORO INCOMPIUTO”

17 dicembre 2014, Africa - L’instabilità nel sud della Libia, regione “insidiosa” e “favoloso mercato di armi con destinazione il nostro paese” preoccupa il presidente del Mali, Ibrahim Boubacar Keita.
È stato lo stesso Keita ad affermarlo, parlando da Dakar al primo Forum internazionale per la pace e la sicurezza in Africa. “Bisogna che la comunità internazionale si convinca che c’è un lavoro da finire, di cui noi siamo la vittima collaterale” ha detto Keita, citando fra l’altro i convogli di armi intercettati dalle forze di sicurezza maliane.
“Quanti ne passano senza che lo sappiamo e quanti potrebbero passarne ancora senza la sorveglianza quotidiana di Barkhane?” ha chiesto Keita, riferendosi al dispositivo militare francese nel Sahel.
I movimenti armati di matrice islamica della regione si sono concentrati nel sud della Libia dopo l’operazione francese Serval lanciata nel nord del Mali nel 2013, poi rimpiazzata da Barkhane, a vocazione più regionale, dall’agosto scorso.
Anche il presidente del Ciad, Idriss Deby, il cui paese siede nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e che Keita ha chiamato in causa, ha chiesto un intervento sulla Libia, affermando che “il Mali è una conseguenza diretta della distruzione della Libia, proprio come Boko Haram”, il gruppo basato nel nord della Nigeria di cui sono segnalati frequenti sconfinamenti.
“Se si vuole risolvere il problema del Sahel bisogna occuparsi della Libia” ha aggiunto Deby, aggiungendo che nessun esercito africano è in grado di farlo e che “la soluzione è nelle mani della Nato che ha creato il disordine”.
Gli ha fatto eco, fra gli altri, il senegalese Macky Sall. La Libia – ha detto – “è un lavoro incompiuto. Occorre che chi l’ha cominciato lo porti a termine”.


Fonte: www.misna.org

venerdì 5 dicembre 2014

VIAGGIO A SAN DAL 28/12 AL 05/01

... manca poco: dal 28 dicembre saremo a San per festeggiare i 50 anni della nascita della Diocesi!!!!
Arriviamoooooooooooo......

giovedì 27 novembre 2014

Il “metodo Burkina Faso”


Il presidente Compaoré ha ceduto il potere senza una carneficina. Una transizione imposta dalla società civile che può fare scuola in Africa e che è importante anche per l'Europa.

Siamo abituati a vedere putsch in Africa ma questa volta è diverso. Consigliato da più parti - anche dai suoi - di non insistere sulla modifica costituzionale che gli avrebbe permesso di ricandidarsi, l’ex presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré non ha ascoltato, scontrandosi con la sua opinione pubblica.


A partire da martedì 28 ottobre, per tre giorni interi la capitale Ouagadougou è stata investita da manifestazioni dell’opposizione e della società civile come non si era mai visto. Alla fine Compaoré ha ceduto e se n'è andato: è riparato prima in Costa d’Avorio, paese che aveva contribuito a pacificare durante la guerra civile, e poi in Marocco.

Nei tre giorni successivi alla caduta, i militari hanno tentato di sostituirsi al presidente che aveva governato per 26 anni il piccolo paese saheliano. Non ci sono riusciti. La piazza ha imposto una transizione civile, ha elaborato una carta, nominato un consiglio e ottenuto la nomina di un anziano diplomatico, Michel Kafando, alla guida dello Stato. Certo i militari hanno il posto di primo ministro e presiedono quattro ministeri importanti. Ma non saranno loro i protagonisti della primavera burkinabé.


Molti fatti spiegano questa novità. Innanzi tutto Compaoré non ha voluto resistere a prezzo del sangue. Vi sono state vittime, soprattutto giovedì 30 ottobre, ma non c’è stata alcuna carneficina. In questi anni l’ex leader è cambiato, trasformandosi lentamente da militare golpista a mediatore in molte crisi regionali. L’uscita è stata meno violenta di molte altre nel continente, anche recenti.

Inoltre i militari si sono ritrovati da soli di fronte alla piazza. Il cambiamento non è avvenuto tramite loro ma mediante una mobilitazione civile dalle proporzioni mai viste. La compattezza della società civile ha tenuto senza divisioni, dimostrando forte maturità. L’opposizione politica ha svolto il suo ruolo senza strafare, inclusa la forza politica scissa dal Cdp (l’ex partito al potere) circa due anni fa. Quest’ultimo fatto ha certamente indebolito Compaoré più di quanto lui stesso immaginasse.

Il “modello Burkina” di transizione potrebbe fare scuola in Africa. Una vicenda importante per il continente ma anche per l’Europa: il Burkina Faso infatti si trova in una zona delicata per ciò che concerne la penetrazione jihadista islamica, come si è visto con la crisi del Mali e con la più grave guerra libica.

Inoltre il paese é prossimo agli snodi dove transitano i flussi migratori verso la costa mediterranea. L’Italia ha da sempre ottime relazioni con Ouagadougou. Molte le Ong operanti. Iniziano anche a vedersi alcune operazioni economiche. Sostenere la transizione (deve durare un anno) affinché vada a buon fine è certamente un obiettivo.

Fonte: Limes (temi.repubblica.it/limes)

mercoledì 12 novembre 2014

Scoprire gli stereotipi sull’Africa

Negli incontri interculturali non basta la buona volontà o uno spirito empatico. La conoscenza, la gestione delle motivazioni e delle attitudini, la prevenzione dei potenziali dilemmi e conflitti sono componenti essenziali della preparazione del personale di qualsiasi organizzazione che si occupi, in Italia e altrove, di cooperazione o iniziative di solidarietà. Per questo motivo ho accolto con piacere l’invito della Società Internazionale Missionaria (Sim), e in particolare di Deborah Buselli, ad animare uno dei suoi incontri di formazione ad Asti, rivolti a cooperanti e volontari in partenza (in Kenya e Burkina Faso), mediatori culturali e altri operatori nel mondo della solidarietà internazionale. L’incontro si è intitolato Stereotipi sull’Africa e sugli africani: quali sono e come andare oltre e si è svolto il 6 aprile scorso, presso la Casa del popolo.
Ho parlato (e abbiamo discusso) dell’esistenza di alcuni grandi equivoci di fondo sull’Africa (soprattutto quella a sud del Sahara) che distorcono, non solo i nostri pensieri, ma anche le nostre azioni. In particolare, tra i tanti, ho scelto 10 di questi equivoci: che l’Africa sia un tutto unico; che sia una entità fatta di tribù e senza stratificazione sociale in classi; che sia “per essenza” caratterizzata dal legame con la tradizione e con la dimensione del villaggio; che sia una realtà al di fuori del tempo, senza sostanziali cambiamenti; che abbia avuto pochi contatti con la modernità; che non possegga una sua vita intellettuale, culturale e scientifica; che sia popolata prevalentemente da persone semplici, infantili e istintive; che abbia una scarsa vitalità politica e sindacale; che sia bisognosa di tecnologie “semplici” e rudimentali; che la sua religiosità tradizionale sia animista e primitiva.
Abbiamo riflettuto, aiutati anche da brevi filmati e documenti, su questi equivoci e sugli stereotipi che ne conseguono; su come tali equivoci siano confutati da numerosi dati della realtà che dimostrano il contrario; sulle loro origini (meccanismi di formazione di identità e contro-identità, interessi geopolitici, logiche del sistema dei media, ecc.) e sulle loro fonti, attuali e remote (resoconti di esploratori e missionari, etnografia coloniale, fonti stampa e radiotelevisive, fiction, cartoni animati, discorso politico, discorso religioso, discorso solidaristico, ecc.).
Abbiamo anche vagliato quali sono i concreti impatti di questi equivoci e stereotipi, ad esempio: occultamento delle “buone notizie” sull’Africa, quando ci sono (e ci sono); delegittimazione tout-court delle leadership africane; interventi di cooperazione non pertinenti; orientamenti neo-colonialisti nei rapporti tra i popoli; mancati investimenti in Paesi dove non ci sono problemi di sicurezza; cattiva accoglienza degli immigrati da parte della popolazione italiana; inadeguate politiche di integrazione (ad esempio, offrendo lavori dequalificanti rispetto al grado di istruzione posseduto dagli immigrati).
Ma di fronte a tutto questo, cosa si può fare? All’incontro della Sim abbiamo constatato quanto trovare le soluzioni sia complesso quanto identificare i problemi, e forse più. In ogni caso, alcune linee operative possono riguardare: la sensibilizzazione e il coinvolgimento degli operatori dei media italiani; una maggiore diffusione dei media africani presso il pubblico italiano; attività di educazione e sensibilizzazione nelle scuole; una più accurata e mirata formazione degli operatori della cooperazione; programmi per favorire la conoscenza diretta di persone e gruppi umani nei rispettivi territori; programmi e attività di contro-informazione (anche utilizzando i social networks); promuovere la ricerca scientifica sulle rappresentazioni sociali dell’Africa; riformare i sistemi di raccolta fondi, spesso basati sul richiamo sensazionalistico ai problemi dell’Africa e su uno scarso rispetto della privacy e della dignità delle persone ritratte. E, in generale: mai generalizzare le proprie esperienze fatte in un posto specifico; non fermarsi alle apparenze e approfondire sempre le informazioni; non fidarsi sempre ciecamente dei racconti di chi “è stato giù” (anche le persone di buon cuore sono spesso portatrici sane di stereotipi); diffidare, quando si legge o si ascolta qualcosa sull’Africa, di chi parla sempre e solo dei problemi e mai di quali sono gli attori locali che fanno già qualcosa per risolverli. Facile a dirsi, ma ci vuole studio, attenzione, tempo e molta pazienza.

Daniele Mezzana su www.corriereimmigrazione.it

martedì 28 ottobre 2014

AFRICA, EVASIONE E MULTINAZIONALI


Il caso dello Zambia, dove alcune multinazionali sono accusate dal governo di evasione fiscale e una di esse, la Glencore, ha cominciato a chiudere impianti, licenziando lavoratori, non è un esempio isolato in Africa. In un’intervista alla MISNA lo sottolinea Henry Malumo, coordinatore africano per l’advocacy della ong Actionaid, che denuncia in particolare l’impatto che le mancate entrate fiscali hanno a livello continentale.

Perché quel che succede in Zambia è emblematico?
“Negli ultimi tempi nell’intero continente africano le multinazionali stanno deliberatamente identificando scappatoie legali per evitare di pagare le tasse. Lo Zambia ne è un esempio, il Mozambico un altro e persino il Sudafrica, che ha una normativa molto sviluppata, ha sofferto significative perdite di entrate. Molte scappatoie sono possibili grazie ai trattati bilaterali d’investimento e in materia fiscale. L’Africa è al bivio, perché i paesi da cui riceve aiuti sono gli stessi che sembrano aver facilitato i flussi illeciti di capitali”.

Di che cifre si parla?
“È complicato – vista la natura di queste attività – capire quanto denaro perde l’Africa. Stime dell’Unione Africana parlano di 60 miliardi di dollari l’anno. La quota più grande finisce in paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. Ma bisognerebbe citare anche le esenzioni fiscali che spesso sono concesse per 10 o 20 anni alle multinazionali, ma non alle piccole imprese locali. E le infrastrutture utilizzate da queste compagnie per trasportare i minerali sono realizzate a spese dei contribuenti… Non siamo contro gli incentivi fiscali, ma esenzioni decennali o ventennali danneggiano l’economia: complessivamente, le perdite sono di oltre 300 miliardi di dollari l’anno, secondo le nostre stime”.

In molti casi, però, alle compagnie si chiede, come contropartita degli investimenti, di creare servizi sul territorio, come strade o scuole. Può bastare?
“Questo in effetti è l’argomento con cui le compagnie difendono i loro privilegi fiscali, ma non può trasformarsi in una scusa per non pagare. Queste pratiche di corporate social responsibility, come sono chiamate, non sono regolamentate: sono spesso una concessione delle imprese stesse, non il risultato di un accordo vincolante. Se invece ai governi arrivassero i proventi delle tasse non pagate, potrebbero essere in grado di creare servizi durevoli, a beneficio non solo delle comunità coinvolte dallo sfruttamento minerario, ma di tutto il territorio. Infine, questo non può essere il lavoro delle multinazionali: i governi sono nella posizione migliore per decidere dove e come costruire determinate strutture. La quantità di denaro che gli Stati perdono, complessivamente, supera il valore degli aiuti allo sviluppo destinati all’Africa!”

Ci sono differenze nel comportamento delle imprese occidentali e di quelle delle economie emergenti?
“In Paesi come Zambia e Zimbabwe vediamo che in termini di posti di lavoro persi e di mancati investimenti nella governance aziendale, le imprese – ad esempio – cinesi non rispettano gli standard richiesti. In più, i cinesi in patria hanno una fedeltà al fisco molto elevata, ma in Africa non è così”.

Ha citato accordi sfavorevoli firmati da molti Stati, può fare esempi concreti?
“Molti permettono alle società di pagare non secondo le norme del paese in cui estraggono le risorse, ma di quello in cui hanno sede. In parte questo è dovuto alla convinzione iniziale che così facendo si sarebbero attratti più investimenti, in parte a un errore dei governi africani stessi, che però deriva anche da una mancanza di informazioni in materia. Un esempio chiaro è quello dell’Uganda che ha firmato un trattato con le Mauritius, così come stava per fare la Nigeria. Questi accordi permetterebbero alle compagnie di far passare il denaro attraverso le Mauritius, cioè un paradiso fiscale”.

Esistono, però, anche esempi di segno opposto…
“Il Rwanda ha di recente rivisto il suo trattato in materia con le Mauritius e lo stesso ha fatto il Sudafrica, considerando che i profitti di molti degli investimenti ufficialmente destinati a Pretoria passavano invece per l’arcipelago. Questo era stato anche consigliato dalla società di consulenza Deloitte a un gruppo di investitori – tra cui alcuni provenienti dalla Cina – come destinazione di capitali provenienti da operazioni in Mozambico. Eppure i paesi africani, con aliquote che a volte arrivano appena al 3%, sono tra quelli con le tasse più basse in questo settore”.

A che livello si può intervenire per fermare questo fenomeno?
“I governi africani devono agire insieme, ma serve un contributo anche dall’esterno. Credo che una leadership in questo senso possa essere cercata anche all’interno dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr) e del G20. Questi possono essere stati parte del problema in passato e molte delle compagnie coinvolte vengono da paesi che ne fanno parte, ma ora c’è bisogno di un’azione collettiva”.

fonte: misna.org

sabato 27 settembre 2014

Baobab Running Cup a Castenedolo:
tutti pronti per la 1^ tappa della 3^ edizione

 

 
 
Si terrà domenica 19 ottobre 2014 questo appuntamento, che sta diventando ormai consueto, col quale vogliamo unire sport e solidarietà.
 
Il ritrovo è presso l' Oratorio "Pio X" di Castenedolo, dove sarà possibile effettuare le iscrizioni dalle ore 8.00 alle 8.45. Il costo è di 5 euro per gli adulti e 3 euro per i bambini e i ragazzi fino a 12 anni.
 
Alle ore 9.00 è prevista la partenza della corsa non competitiva di 10 km e a seguire quella della passeggiata di 4 km, che si svolgeranno su percorsi pianeggianti, con terreno in parte stradale e in parte sterrato.

E' possibile fermarsi a pranzo dopo la gara. Prenotazioni al 347.9401648 (Andrea)
 
Il ricavato dell' intera manifestazione sarà utilizzato per la costruzione del reparto di Medicina Generale del Centro Ospedaliero di San (Mali).
 
Ringraziamo chi ha partecipato alle scorse gare: il reparto di maternità è già a buon punto!!! Potete vedere lo stato dei lavori cliccando sul seguente link:
 

 

 
 
 


sabato 26 luglio 2014

GOVERNO E RIBELLI FIRMANO CESSATE IL FUOCO E ‘ROAP MAP’ DI PACE

MALI 25 luglio 2014 - Dopo una settimana di trattative ad Algeri, il governo di Bamako e sei gruppi armati, arabi e tuareg, dell’Azawad hanno firmato un documento di “cessazione delle ostilità” e una ‘road map’ che stabilisce un calendario delle prossime scadenze“verso una soluzione globale e negoziata” della crisi in atto da gennaio 2012.
Il prossimo appuntamento tra le parti è previsto per il 17 agosto, con un nuovo round di colloqui ad Algeri, fino all’11 settembre. Sulla carta, entro il prossimo ottobre, in Mali verrà poi siglato un “piano di pace definitivo”.
Il primo documento concordato ad Algeri – di fatto un accordo di cessate il fuoco – prevede la creazione di una commissione congiunta incaricata di mettersi in contatto con gli attori della crisi per “facilitare il consolidamento delle cessazione delle ostilità, con il monitoraggio della Missione Onu in Mali (Minusma)”. In questo contesto interverrà anche la liberazione di tutti i prigionieri e di tutte le persone detenute nell’ambito del conflitto.
La ‘road map’ stabilisce invece il quadro negoziale delineato in modo “consensuale”. Iscritti nero su bianco i principi del rispetto dell’integrità territoriale e della laicità dello Stato, sui quali le autorità di Bamako non intendono trattare.
Per il ministro degli Esteri algerino, Ramtane Lamamra, la doppia firma rappresenta un “risultato soddisfacente per questa fase preliminare del dialogo intermaliano”.
I documenti sono stati siglati dal Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla, tuareg), dall’Alto consiglio per l’unità dell’Azawad (Hcua), dal Movimento arabo dell’Azawad (Maa), dal Movimento arabo dell’Azawad-dissidente, dal Coordinamento per il popolo dell’Azawad (Cpa) e dal Coordinamento dei Movimenti e fronti patriottici di resistenza (Cm-Fpr). Tuttavia le componenti dei principali gruppi ribelli non sono riuscite a presentare un elenco comune di rivendicazioni a causa di divisioni interne ai tuareg ma anche tra tuareg e arabi.
Coinvolti nei negoziati intermaliani Unione Africana, Onu, Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao), Unione Europea, Organizzazione della conferenza islamica e i paesi vicini (Algeria, Niger, Burkina Faso, Ciad, Mauritania).
Tuttavia sul terreno la situazione rimane ancora instabile e tesa, in particolare nella regione del capoluogo settentrionale di Kidal, dove in questi giorni sono proseguiti scontri tra gruppi dissidenti.

www.misna.org

sabato 14 giugno 2014

BAOBAB RUNNING CUP TOUR - 3^ TAPPA ODOLO


ATTENZIONE ATTENZIONE! STA PER PARTIRE LA TERZA TAPPA DEL BAOBAB RUNNING CUP TOUR 



DOMENICA 29 GIUGNO 2014 A ODOLO, RITROVO IN PIAZZA DONATORI DI SANGUE (AVIS)

SARA' POSSIBILE ISCRIVERSI IN LOCO DALLE 8 .00 ALLE 8.45


LA PARTENZA È ALLE ORE 9.00


TUTTO IL RICAVATO SARÀ  DEVOLUTO AL PROGETTO DELL'OSPEDALE DI SAN


IL REGOLAMENTO DELLA MANIFESTAZIONE SI PUÒ LEGGERE NELLA PAGINA "Baobab Running Cup Tour" 




martedì 27 maggio 2014

AL NORD TREGUA NEI COMBATTIMENTI, NUOVO BILANCIO
 
26 maggio 2014 - Stanno ritornando a Kidal le popolazioni fuggite dopo gli intensi scontri della scorsa settimana, interrotti grazie al cessate il fuoco decretato da Bamako e, per ora, rispettato dai ribelli. L’accordo è stato firmato venerdì scorso dal governo e da tre gruppi armati,  con la mediazione dell’Unione africana. Una tregua nei combattimenti che ha anche consentito la distribuzione di aiuti alimentari da parte del Programma alimentare mondiale (Pam).
Sul terreno i gruppi armati, in particolare i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), sono in posizione di forza nel capoluogo di Kidal (nord-est) e nella località di Menaka. Truppe regolari sono invece dispiegate ad Aguelok e Tessalit.
Nelle ultime ore il ministro della Difesa ha diffuso un bilancio aggiornato delle violenze del 17 e del 21 maggio, confermando la morte di 50 soldati e il ferimento di altri 48 negli scontri contro gli insorti per il controllo di Kidal, 1500 km dalla capitale. La stessa fonte ha assicurato che convogli di viveri e forniture di armi sono partiti da Bamako in direzione del nord. Nel frattempo la missione Onu dispiegata in Mali (Minusma) ha effettuato più di 80 pattuglie militari nell’instabile regione dell’Azawad.
 

sabato 24 maggio 2014

PER ONU ANCHE MENAKA IN MANO AI RIBELLI, APPELLO AL DIALOGO

23 maggio 2014 -  “Kidal e Menaka sono ora sotto il controllo del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). Movimenti di truppe della ribellione tuareg sono stati segnalati in altre località della regione, tra cui Anefis e Aguelhoc”: lo ha riferito un portavoce del segretario generale dell’Onu, Stéphane Dujarric. Un aggiornamento della situazione militare sul terreno che contrasta con le ultime dichiarazioni del ministero della Difesa, che ha assicurato che l’esercito si è ritirato solo da Kidal e “mantiene tutte le sue posizioni altrove”. L’Mnla ha invece annunciato la propria vittoria su più fronti.
Secondo l’Onu, la ripresa delle ostilità all’estremo nord-est del paese ha già spinto 3400 civili a scappare da Kidal, per trovare rifugio a Gao e nella confinante Algeria. Aiuti umanitari sono stati destinati a Gao, altro capoluogo della regione dell’Azawad, mentre Kidal non è accessibile agli operatori.
Intanto a Bamako, fonti missionarie della MISNA riferiscono della partenza di truppe e mezzi militari, diretti al nord, ma di una “vita regolare”. Ieri per le vie della capitale hanno manifestato donne e lavoratori, che hanno preso parte ad una marcia di sostegno al governo e all’esercito. “Il Mali è uno e indivisibile. Kidal rimarrà maliana. Abbiamo fiducia nelle autorità e nelle truppe per risolvere la questione. Dobbiamo rafforzare la lotta ai jihadisti e ai narcotrafficanti” hanno scritto giornali locali raccontando delle proteste di ieri. I manifestanti hanno inoltre scandito slogan contro i francesi dell’operazione Serval e contro i caschi blu della Minusma per non essere intervenuti a Kidal contro i ribelli. Il Palazzo di Vetro di New York ha risposto che “il nostro mandato riguarda la protezione dei civili e non prevede che facciamo la guerra al posto dei maliani (…) siamo sul posto per facilitare l’uscita dalla crisi e non per combattere”.
A lanciare un messaggio di incoraggiamento ai maliani è stato il primo ministro Moussa Mara, che ha invitato i cittadini a “rimanere uniti” e ad “avere fiducia nel presidente Keita e nell’esercito”.
Nelle ultime ore si sono anche moltiplicate le iniziative diplomatiche regionali ed africane. Il vicino Burkina Faso, mediatore nella crisi maliana, ha dispiegato a Bamako il capo della diplomazia del Burkina Faso. In visita nella capitale maliana il presidente mauritano Mohamed Ould Abdel Aziz, alla presidenza dell’Unione Africana, ha insistito sull’urgenza di “privilegiare il dialogo, unica via d’uscita dalla crisi” piuttosto che “ricominciare una guerra”. Il capo di Stato del paese confinante ha assicurato che “siamo pronti ad impegnarci accanto ai nostri fratelli per trovare le soluzioni”. Finora Nouakchott non ha dispiegato suoi uomini in Mali nell’ambito della missione Onu.
 

lunedì 19 maggio 2014

I tuareg attaccano una sede del governo a Kidal

















19 maggio 2014 - Il governo del Mali è “in guerra con i terroristi”: lo ha detto il primo ministro Moussa Mara dopo gli scontri del 17 maggio tra esercito e ribelli tuareg nella città settentrionale di Kidal, in cui sono morte decine di persone.
Gli incidenti sono scoppiati durante la visita di Mara a Kidal, una roccaforte dei ribelli tuareg. Il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) ha preso d’assalto la sede dell’amministrazione locale causando la morte di almeno 36 persone, tra militari e dipendenti pubblici. I ribelli hanno poi preso in ostaggio una trentina di persone, in gran parte funzionari del governatorato.
La missione delle Nazioni Unite in Mali, la Minusma, ha condannato “nella maniera più assoluta l’uccisione di civili e funzionari del governatorato di Kidal. Questo crimine barbaro è assolutamente inaccettabile e i responsabili dovranno rispondere delle loro azioni”, ha detto Albert Koenders rappresentante speciale del segretario delle Nazioni Unite.
Ritornato a Bamako, domenica sera, Moussa Mara ha detto che le autorità sono impegnate per la liberazione degli ostaggi affermando che alcuni di loro sono stati uccisi a sangue freddo e altri liberati perché feriti. Con gli scontri a Kidal “i terroristi hanno dichiarato guerra al Mali, e quindi il Mali è in guerra contro questi terroristi”, ha detto Mara da Gao, ultima tappa del suo viaggio nel nord del Mali, la sua prima visita in queste regioni da quando è entrato in carica, all’inizio di aprile.
Anche la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) si è detta preoccupata per ” il grave deterioramento della situazione politica e della sicurezza ” in Mali, condannando gli atti di violenza a Kidal. E l’Unione africana ha invitato “le parti a esercitare la massima moderazione”.
Il nord del Mali è stato teatro di un conflitto armato tra il 2012 e il 2013. Per superare la crisi in modo definitivo non sono bastati né l’intervento militare a guida francese né l’accordo di pace preliminare firmato a Ouagadougou, in Burkina Faso, nel giugno del 2013. Nonostante la presenza di militari maliani, francesi e delle Nazioni Unite, Kidal è sempre sfuggita al controllo del governo del Mali. 

www.internazionale.it

domenica 27 aprile 2014

 

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domenica 20 aprile 2014


La rentrée del Mali

Islam e società. Con le ferite della guerra ancora aperte, gli intellettuali del paese africano s’interrogano su come reagire all’invadenza delle pratiche magico-religiose nella sfera politica

Svolta poli­tica impor­tante, in Mali: dopo le dimis­sioni del pre­mier Oumar Tatam Ly in carica da pochi mesi, è il tren­ta­no­venne Moussa Mara – ex sin­daco di una delle cir­co­scri­zioni di Bamako, cam­pione della lotta alla cor­ru­zione e famoso per il suo dina­mi­smo – ad assu­mere la guida del nuovo governo che si è inse­diato lo scorso 11 aprile. Si apre così una fase ine­dita, rispetto agli eventi di un paio di anni fa, quando la regione dell’Azawad è scon­volta da vel­leità indipendentiste-jihadiste e nella capi­tale ha suc­cesso il golpe del capi­tano Ama­dou Haya Sanogo con­tro Ama­dou Tou­mani Touré, pre­si­dente inde­bo­lito e al ver­tice di un sistema sì demo­cra­tico, ma ina­de­guato a gestire il con­flitto coi ribelli tua­reg del nord. I gruppi armati sono, ini­zial­mente, con­trol­lati dal Movi­mento nazio­nale di libe­ra­zione dell’Azawad (Mnla), che poi sce­glierà di allearsi (con sorti alterne) alle mili­zie isla­mi­ste del Mujao, Ansar Eddine e Aqmi.
Solo l’operazione «Ser­val», pre­di­spo­sta dalla Fran­cia nel gen­naio 2013, su richie­sta del pre­si­dente ad inte­rim Dia­counda Traoré, tam­pona un qua­dro pas­si­bile di con­durre il Mali alla spac­ca­tura. Nell’intento di ritro­vare un’esistenza poli­tica nor­male, già nell’agosto, sono indette le ele­zioni per il capo di stato, che vedono la vit­to­ria d’Ibrahim Bou­ba­car Keïta, figura gra­dita a Parigi e appog­giata dai lea­der reli­giosi. A tale con­sul­ta­zione, segue il rin­novo del Parlamento.
Ma, nel 2014, la crisi è dav­vero die­tro le spalle? Nelle città del centro-sud non vi è segno di ten­sione e la pre­senza dell’esercito sulle arte­rie extra-urbane è vistosa. La vita ha ripreso il suo corso: l’economia tenta di ripar­tire, con­fi­dando nei fondi pro­messi dalla Ue; mille riforme sono in campo; Sanogo viene arre­stato con l’accusa di omi­ci­dio (mal­grado la pro­mo­zione a gene­rale); una com­mis­sione «verità-giustizia-riconciliazione» è nata a marzo… Eppure, le ferite restano aperte, e le pro­vince del nord (Gao, Tim­buctu, Kidal) cono­scono una pace pre­ca­ria, con le forze del Mnla onnipresenti.
L’esigenza dei maliani d’immaginare il futuro su nuove basi è pal­pa­bile, al punto che per­sino una mani­fe­sta­zione dedi­cata alla let­te­ra­tura, come la Ren­trée lit­té­raire (25–28 feb­braio), ha posto al suo cen­tro il tema «diver­sità e con­vi­venza». Come ha spie­gato il mini­stro della Cul­tura Bruno Maïga, la Ren­trée si è qua­li­fi­cata quale spa­zio che ha per­messo agli intel­let­tuali di con­fron­tare le loro espe­rienze a con­tatto con il pub­blico. Nei dibat­titi si è messo l’accento sulla plu­ra­lità delle voci nel paese, in una pro­spet­tiva di ugua­glianza, libertà e auto­no­mia, inter­ro­gan­dosi sul ruolo della lai­cità nella lotta alle discri­mi­na­zioni e nel pro­muo­vere l’integrazione fra le com­po­nenti socio-culturali esi­stenti. Pre­cise que­stioni sono emerse quali nodi irri­du­ci­bili: la crisi maliana è stata un fat­tore di rego­la­zione sociale, un indi­ca­tore di resi­stenza al cam­bia­mento o il sin­tomo dello spro­fon­dare di un’intera col­let­ti­vità? Che giu­sti­zia per­met­terà di rites­sere i legami sociali? Quale gover­nance, fra decen­tra­mento ammi­ni­stra­tivo e fede­ra­li­smo, favo­rirà la ripresa?
Espressa in maniera chiara, una pre­oc­cu­pa­zione acco­muna oggi gli intel­let­tuali: come rea­gire all’invadenza socio-politica dall’islam, rispetto a un appa­rato sta­tale privo di ener­gie, in un paese mul­tiet­nico e for­mal­mente laico (come atte­sta la Costi­tu­zione del 1992), ma in cui il 90% della popo­la­zione è di fede islamica?
Seb­bene le istanze jiha­di­ste siano state iso­late, la reli­gione si è affer­mata, nella prassi quo­ti­diana, come fonte di legit­ti­mità per il potere. Per altro, di recente, il mini­stro all’Urbanistica, per­so­nag­gio di peso, ha soste­nuto che solo le orga­niz­za­zioni musul­mane sono in grado di mobi­li­tare le masse. I par­titi non rie­scono a coin­vol­gere i cit­ta­dini. In caso di neces­sità que­sti ultimi non si rivol­gono alle isti­tu­zioni pub­bli­che, ma sanno che l’unico pos­si­bile soc­corso può venire dalle orga­niz­za­zioni con­fes­sio­nali, impe­gnate in ambito uma­ni­ta­rio. Il feno­meno è tal­mente rico­no­sciuto che, ormai, gli stessi espo­nenti poli­tici cer­cano di assi­cu­rarsi il soste­gno del mondo reli­gioso, in pri­mis dell’Haut Con­seil Isla­mi­que du Mali, ma pure quello di nota­bili come gli shaykh delle mag­giori con­fra­ter­nite o i grandi mara­bouts, dai quali si lasciano con­si­gliare e accom­pa­gnare per accre­scere il pro­prio prestigio.
L’importanza degli skaykh e dei mara­bouts non si con­nette, comun­que, in maniera esclu­siva alla loro abi­lità nelle pre­di­che, fatte in moschea o tra­smesse via radio, tv, cd e cas­sette, ma va attri­buita alle facoltà misti­che e magico-religiose di cui sareb­bero deten­tori alcuni di loro. Insomma, il potere poli­tico diviene in qual­che misura suc­cube di un rap­porto con l’invisibile e le forze che lo domi­nano, che nes­suno o quasi, mette in dub­bio. Un cele­bre detto riflette tale realtà con sar­ca­smo: il Mali è un paese al 90% musul­mano, al 10% cri­stiano e al 100% animista…

martedì 25 marzo 2014

Baobab Running Cup Tour 2013/2014 - 2 TAPPA

VI ASPETTIAMO PER LA SECONDA TAPPA DEL BAOBAB RUNNING CUP TOUR 

CON L'ECCEZIONALE PRESENZA DI MONS. DIARRA, VESCOVO DI SAN

DOMENICA 6 APRILE 2014 A PADERGNONE DI RODENGO SAIANO

IL RITROVO È ALLE ORE 8 PRESSO L'ORATORIO IN VIA FRANZINE,1

LA PARTENZA È ALLE ORE 9

TUTTO IL RICAVATO SARÀ  DEVOLUTO AL PROGETTO DELL'OSPEDALE DI SAN

IL REGOLAMENTO DELLA MANIFESTAZIONE SI PUÒ LEGGERE NELLA PAGINA "Baobab Running Cup Tour"