lunedì 21 gennaio 2013

MALI: GUERRA TRA CHI HA SCELTO LA PACE

LA VOCE DEL POPOLO.it
Dal Paese africano. che da anni aveva messo al bando le armi, arrivano notizie sempre più drammatiche dal conflitto scantenato dal tre gruppi fondamentalisti. Sono già 400mila i profughi in fuga, come conferma don Emmanuel Nestor Kone, direttore della Caritas di San, una delle sei diocesi del Mali, di passaggio a Brescia.


Don Emmanuel Nestor Koné
Sta tenendo banco in questi giorni sui mezzi di informazione l’azione militare che, sulla scorta della risoluzione 2085 del 20 dicembre scorso del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la Francia sta portando avanti in Mali. L’intervento francese, bombardamenti e azioni di terra, è la risposta, all’offensiva dei ribelli cominciata un anno fa, con la conquista di Gao, Kidal e Timbuctù, a cui aveva fatto seguito il colpo di Stato militare che aveva deposto il presidente Amadou Toumani Touré. Un conflitto, quello che si sta combattendo nel Paese africano, che, iniziato con tendenze indipendentiste dal gruppo Mlna (Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad), ha registrato la progressiva partecipazionne di altri tre gruppi mossi da motivazioni estremiste: Ansar al Din; Aqmi, la colonna magrebina di al-Qaeda; Mujao (Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa dell’Ovest), sostenuto da Boko Haram, gruppi favorevoli alla jihad islamica. Parigi, su richiesta dello stesso governo locale, ha giustificato il proprio intervento con la motivazione di voler prevenire il rischio che il Mali possa trasformarsi nella culla di nuove e pericolose frange terroristiche. Si tratta di un’ipotesi tutt’altro che campata per aria, vista anche la reazione scatentata dalla colonna magrebina di al-Queda con il sequestro dell’impianto petrolifero in Algeria represso del sangue dall’esercito di Algeri. I gruppi del Nord sono dichiaratamente a favore della jihad islamica. Tanto che si teme un’estensione del terrorismo nella regione del Sahel. 



Per alcuni movimenti l’obiettivo principale è l’indipendenza del Nord ma poi l’immissione di altri gruppi ha fatto sì che la crisi si sia ampliata, diventando una rivendicazione della jihad su tutta la regione, compresi Niger e Burkina. È dunque molto elevata la preoccupazione internazionale che la regione possa diventare un nuovo Afghanistan, per questo si dà la definizione ‘Africanistan’, con una crisi che potrebbe destabilizzare l’intera regione. Quello della comunità internazionale, magari non necessariamente a guida francese, era un intervento prevedibile. Secondo gli studi fatti dalle Caritas locali era solo questione di tempo, perché il governo del Mali non avrebbe avuto la forza per intervenire da solo nella crisi politica al Nord. I Paesi della Cedeao (Comunità degli Stati dell’Africa occidentale), avevano dato disponibilità all’invio di militari, ma con l’appoggio della comunità internazionale. Il rischio più elevato, che molti vanno paventando è che, come è avvenuto in Libia, l’intervento in Mali possa ri¬velarsi più lungo e difficile di quanto oggi la Francia voglia far credere. Di passaggio da Brescia per chiedere alla Caritas diocesana un appello a far fronte a quella che sta trasformandosi in una vera e propria emergenza umanitaria, don Emmanuel Nestor Kone, direttore della Caritas di San (una delle sei diocesi del Mali), ha parlato, ai microfoni di Radio Voce, di decine di migliaia di persone in fuga dalle zone del conflitto bisognose di ogni tipo di aiuto. La sua testimonianza giunge da un Paese oggetto di una vera e propria aggressione, di una realtà incapace di difendersi, anche per via della scelta operata degli anni ’90 del secolo scorso, di limitare la presenza di armi nel Paese.
di Massimo Venturelli  

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