Scoprire gli stereotipi sull’Africa
Negli incontri
interculturali non basta la buona volontà o uno spirito empatico. La
conoscenza, la gestione delle motivazioni e delle attitudini, la prevenzione
dei potenziali dilemmi e conflitti sono componenti essenziali della preparazione
del personale di qualsiasi organizzazione che si occupi, in Italia e altrove,
di cooperazione o iniziative di solidarietà. Per questo motivo ho accolto con
piacere l’invito della Società Internazionale Missionaria (Sim), e in
particolare di Deborah Buselli, ad animare uno dei suoi incontri di formazione
ad Asti, rivolti a cooperanti e volontari in partenza (in Kenya e Burkina
Faso), mediatori culturali e altri operatori nel mondo della solidarietà
internazionale. L’incontro si è intitolato Stereotipi sull’Africa e sugli
africani: quali sono e come andare oltre e si è svolto il 6 aprile scorso,
presso la Casa del popolo.
Ho parlato (e abbiamo
discusso) dell’esistenza di alcuni grandi equivoci di fondo sull’Africa
(soprattutto quella a sud del Sahara) che distorcono, non solo i nostri
pensieri, ma anche le nostre azioni. In particolare, tra i tanti, ho scelto 10
di questi equivoci: che l’Africa sia un tutto unico; che sia una entità fatta
di tribù e senza stratificazione sociale in classi; che sia “per essenza”
caratterizzata dal legame con la tradizione e con la dimensione del villaggio;
che sia una realtà al di fuori del tempo, senza sostanziali cambiamenti; che
abbia avuto pochi contatti con la modernità; che non possegga una sua vita
intellettuale, culturale e scientifica; che sia popolata prevalentemente da
persone semplici, infantili e istintive; che abbia una scarsa vitalità politica
e sindacale; che sia bisognosa di tecnologie “semplici” e rudimentali; che la
sua religiosità tradizionale sia animista e primitiva.
Abbiamo riflettuto,
aiutati anche da brevi filmati e documenti, su questi equivoci e sugli
stereotipi che ne conseguono; su come tali equivoci siano confutati da numerosi
dati della realtà che dimostrano il contrario; sulle loro origini (meccanismi
di formazione di identità e contro-identità, interessi geopolitici, logiche del
sistema dei media, ecc.) e sulle loro fonti, attuali e remote (resoconti di
esploratori e missionari, etnografia coloniale, fonti stampa e radiotelevisive,
fiction, cartoni animati, discorso politico, discorso religioso, discorso
solidaristico, ecc.).
Abbiamo anche vagliato
quali sono i concreti impatti di questi equivoci e stereotipi, ad esempio:
occultamento delle “buone notizie” sull’Africa, quando ci sono (e ci sono);
delegittimazione tout-court delle leadership africane; interventi di
cooperazione non pertinenti; orientamenti neo-colonialisti nei rapporti tra i
popoli; mancati investimenti in Paesi dove non ci sono problemi di sicurezza;
cattiva accoglienza degli immigrati da parte della popolazione italiana;
inadeguate politiche di integrazione (ad esempio, offrendo lavori
dequalificanti rispetto al grado di istruzione posseduto dagli immigrati).
Ma di fronte a tutto
questo, cosa si può fare? All’incontro della Sim abbiamo constatato quanto
trovare le soluzioni sia complesso quanto identificare i problemi, e forse più.
In ogni caso, alcune linee operative possono riguardare: la sensibilizzazione e
il coinvolgimento degli operatori dei media italiani; una maggiore diffusione
dei media africani presso il pubblico italiano; attività di educazione e
sensibilizzazione nelle scuole; una più accurata e mirata formazione degli
operatori della cooperazione; programmi per favorire la conoscenza diretta di
persone e gruppi umani nei rispettivi territori; programmi e attività di
contro-informazione (anche utilizzando i social networks); promuovere la
ricerca scientifica sulle rappresentazioni sociali dell’Africa; riformare i
sistemi di raccolta fondi, spesso basati sul richiamo sensazionalistico ai
problemi dell’Africa e su uno scarso rispetto della privacy e della dignità
delle persone ritratte. E, in generale: mai generalizzare le proprie esperienze
fatte in un posto specifico; non fermarsi alle apparenze e approfondire sempre
le informazioni; non fidarsi sempre ciecamente dei racconti di chi “è stato
giù” (anche le persone di buon cuore sono spesso portatrici sane di
stereotipi); diffidare, quando si legge o si ascolta qualcosa sull’Africa, di
chi parla sempre e solo dei problemi e mai di quali sono gli attori locali che
fanno già qualcosa per risolverli. Facile a dirsi, ma ci vuole studio,
attenzione, tempo e molta pazienza.
Daniele Mezzana su www. corriereimmigrazione.it
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