mercoledì 12 novembre 2014

Scoprire gli stereotipi sull’Africa

Negli incontri interculturali non basta la buona volontà o uno spirito empatico. La conoscenza, la gestione delle motivazioni e delle attitudini, la prevenzione dei potenziali dilemmi e conflitti sono componenti essenziali della preparazione del personale di qualsiasi organizzazione che si occupi, in Italia e altrove, di cooperazione o iniziative di solidarietà. Per questo motivo ho accolto con piacere l’invito della Società Internazionale Missionaria (Sim), e in particolare di Deborah Buselli, ad animare uno dei suoi incontri di formazione ad Asti, rivolti a cooperanti e volontari in partenza (in Kenya e Burkina Faso), mediatori culturali e altri operatori nel mondo della solidarietà internazionale. L’incontro si è intitolato Stereotipi sull’Africa e sugli africani: quali sono e come andare oltre e si è svolto il 6 aprile scorso, presso la Casa del popolo.
Ho parlato (e abbiamo discusso) dell’esistenza di alcuni grandi equivoci di fondo sull’Africa (soprattutto quella a sud del Sahara) che distorcono, non solo i nostri pensieri, ma anche le nostre azioni. In particolare, tra i tanti, ho scelto 10 di questi equivoci: che l’Africa sia un tutto unico; che sia una entità fatta di tribù e senza stratificazione sociale in classi; che sia “per essenza” caratterizzata dal legame con la tradizione e con la dimensione del villaggio; che sia una realtà al di fuori del tempo, senza sostanziali cambiamenti; che abbia avuto pochi contatti con la modernità; che non possegga una sua vita intellettuale, culturale e scientifica; che sia popolata prevalentemente da persone semplici, infantili e istintive; che abbia una scarsa vitalità politica e sindacale; che sia bisognosa di tecnologie “semplici” e rudimentali; che la sua religiosità tradizionale sia animista e primitiva.
Abbiamo riflettuto, aiutati anche da brevi filmati e documenti, su questi equivoci e sugli stereotipi che ne conseguono; su come tali equivoci siano confutati da numerosi dati della realtà che dimostrano il contrario; sulle loro origini (meccanismi di formazione di identità e contro-identità, interessi geopolitici, logiche del sistema dei media, ecc.) e sulle loro fonti, attuali e remote (resoconti di esploratori e missionari, etnografia coloniale, fonti stampa e radiotelevisive, fiction, cartoni animati, discorso politico, discorso religioso, discorso solidaristico, ecc.).
Abbiamo anche vagliato quali sono i concreti impatti di questi equivoci e stereotipi, ad esempio: occultamento delle “buone notizie” sull’Africa, quando ci sono (e ci sono); delegittimazione tout-court delle leadership africane; interventi di cooperazione non pertinenti; orientamenti neo-colonialisti nei rapporti tra i popoli; mancati investimenti in Paesi dove non ci sono problemi di sicurezza; cattiva accoglienza degli immigrati da parte della popolazione italiana; inadeguate politiche di integrazione (ad esempio, offrendo lavori dequalificanti rispetto al grado di istruzione posseduto dagli immigrati).
Ma di fronte a tutto questo, cosa si può fare? All’incontro della Sim abbiamo constatato quanto trovare le soluzioni sia complesso quanto identificare i problemi, e forse più. In ogni caso, alcune linee operative possono riguardare: la sensibilizzazione e il coinvolgimento degli operatori dei media italiani; una maggiore diffusione dei media africani presso il pubblico italiano; attività di educazione e sensibilizzazione nelle scuole; una più accurata e mirata formazione degli operatori della cooperazione; programmi per favorire la conoscenza diretta di persone e gruppi umani nei rispettivi territori; programmi e attività di contro-informazione (anche utilizzando i social networks); promuovere la ricerca scientifica sulle rappresentazioni sociali dell’Africa; riformare i sistemi di raccolta fondi, spesso basati sul richiamo sensazionalistico ai problemi dell’Africa e su uno scarso rispetto della privacy e della dignità delle persone ritratte. E, in generale: mai generalizzare le proprie esperienze fatte in un posto specifico; non fermarsi alle apparenze e approfondire sempre le informazioni; non fidarsi sempre ciecamente dei racconti di chi “è stato giù” (anche le persone di buon cuore sono spesso portatrici sane di stereotipi); diffidare, quando si legge o si ascolta qualcosa sull’Africa, di chi parla sempre e solo dei problemi e mai di quali sono gli attori locali che fanno già qualcosa per risolverli. Facile a dirsi, ma ci vuole studio, attenzione, tempo e molta pazienza.

Daniele Mezzana su www.corriereimmigrazione.it

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