venerdì 20 gennaio 2012

Andata e ritorno dal Mali. (Ferrari Alessandro)

Il mio viaggio in Africa: Tutto dipende  da Don Duilio Lazzari ormai per tutti don Du che, ancora prima di incontrarlo all’indomani del suo ingresso in qualità di nuovo Parroco della mia Parrocchia in Padergnone di Rodengo Saiano, avevo come tanti curiosi cercato di capire per vedere a quale sacerdote saremmo stati affidati. Quasi inutili le informazioni assunte se non il sapere del curioso abbraccio che da non pochi anni esiste su proposta dello stesso don Du tra la Comunità Odolese, per mezzo dei Giovani del Gruppo Africa, e la Terra del sud del Mali. Vuoi vedere che ci mandano un prete missionario ! 


Domenica sono proprio curioso di incontrarlo. Il giorno prima le donne hanno terminato con trepidazione e con l’ansia del nuovo incontro di appendere i fiori e stoffe colorate lungo la strada che dalla piccola  piazzetta storica conduce alla nuova chiesa Parrocchiale. E’ una bellissima  giornata e l’intera comunità accoglie finalmente il nuovo Parroco a fianco del quale lo accompagna  un sacerdote di colore che intervenuto durante l’ omelia ci dice di essere della Diocesi della città di San del  Mali e amico fraterno di Don Du che a sua volta si è presentato alla Comunità senza enfasi con poche chiare e semplici toccanti parole: allora i conti tornano don Du è un prete del mondo ! E’ proprio così perché da li a poco informa la comunità che a fine anno  ritornerà in Mali insieme ad un gruppo di adulti Odolesi e di altre parrocchie quasi a dire: chi vuol venire con me  a fare questa esperienza di educazione di incontro di condivisione? Perché no, Don Du vengo anch’io! Bene si parte il 27 dicembre e si torna il 5 dell’anno dopo. E così sono iniziate le procedure di regolarizzazione del passaporto, la vaccinazioni obbligatorie. Nel frattempo vengo a sapere che oltre a don Du avrò altri compagni di viaggio, la Rosanna, Donato  e a piacevole sorpresa Walter.

Si parte: La notte che precede la partenza è un po’ agitata tanto che non serve l’ora della sveglia. Sono le ore 7 un saluto e un bacio alla  mamma che da sempre quando vado un po’ lontano si asciuga qualche lacrima. Un veloce ripasso mentale se nella valigia ho riposto tutto quanto dovevo. C’è una certa agitazione che non traspare ma che  sento correre sulla pelle. L’amico Piero è puntuale con il pulmino, si caricano i bagagli e al gruppo Padergnone si aggiunge  Giorgio di Fantecolo. Tutti accompagnati dai nostri cari, un bacio e un forte abbraccio da mia moglie, lei così restia e riservata: allora mi vuole ancora bene. Baci e abbracci e… tutti in carrozza. Si parte davvero destinazione aeroporto di Verona per Parigi e sua volta per  la capitale maliana Bamako. È una  bellissima giornata  di sole  splendente che acceca e accompagna la nostra allegria. Eccoci siamo arrivati all’aeroporto si caricano sui carrelli  tutti i bagagli,  un caro saluto di arrivederci al ritorno all’amico Piero e tutti in fila a raggiungere la postazione delle partenze dove incontriamo il resto del gruppo che a conti fatti sarà di 18 amici che insieme hanno deciso di condividere questa esperienza. Sono 11 della Parrocchia di Odolo ovvero Antonietta, Elisa, Samuel, Anna e Giacomo, Alba e Fabrizio, Alfio, Diego, Flora e Sonia mentre 5 siamo noi di Padergnone, poi Beatrice per la parrocchia di Castenedolo e a chiudere Giorgio per la parrocchia di Fantecolo, ma che lui dice di essere non si sa perché di Camignone.  Strette di mano  e si  fa amicizia. Consegnati i bagagli  tutti in fila per l’imbarco, pronti via, i motori si fanno sentire le ali da lì a poco si piegano in direzione del primo scalo al Charles de Gaulle di Parigi. Si sorvola la catena delle Alpi con le cime innevate che fanno da contrasto con  l’indaco del cielo e si atterra nella romantica Parigi, il tempo è assai grigio ,ma che importa tanto noi qui non restiamo. Opportunamente sbarcati restiamo in attesa per il nuovo imbarco che ci  porterà a destinazione. Dobbiamo attendere qualche ora  e come sempre quando si resta in attesa di qualche cosa il tempo non sembra passare mai. Ma poi arriva il momento della nuova partenza e si sale la scala che ci porta nel ventre di un aereo che per la sua grandezza è quasi inquietante, ma per certi versi anche rassicurante. Seppur tutti siamo già nei nostri posti a sedere con le cinture allacciate si tarda a partire. Ma va bene lo stesso, ormai ci siamo prima o dopo si parte. Sono seduto al numero di posto 38B ed intanto leggo un libro che mi sono portato da casa e con la penna tra le dita  per segnare i passaggi più significativi di lettura. Il mio compagno di viaggio seduto a  fianco è un maliano di media età ma senza alcun scrupolo di cortesia tanto che senza nulla chiedermi prende la mia penna, fa i suoi comodi e me la rende senza nemmeno annuire ad un “merci” Il mio primo pensiero è stata l’espressione dialettale “che non bè” e intanto l’aereo si muove, allora  si parte davvero, e lassù in alto ho una certa apprensione pensando a quella terra per me del tutto sconosciuta.

Si arriva: Contrariamente all’attesa le ore di viaggio sono volate e a tarda notte si atterra. Il clima  non è caldo come ci si poteva attendere, folate di vento lo rendono abbastanza fresco. Si corre al nastro di consegna dei bagagli con una certa trepidazione perché si sa che nei lunghi viaggi talvolta i bagagli non arrivano. Infatti  vana è l’attesa per Anna e Mino di una delle loro valigie, la più preziosa perché carica di amore di affetto per la bambina da loro adottata a distanza e che con gioia avrebbero aperto insieme. Terminati i controlli nella confusione in mezzo a chi continua a farti presente la sua disponibilità al trasporto, a chi con la pretesa data dall’autorità del controllo per  spillare qualche soldo,  si esce nel piazzale poco illuminato che si trova antistante le porte degli arrivi e… caricati i bagagli sul tetto del pulmino messo a disposizione dall’ “Archevêchè Bamako“ si inizia il primo percorso che ci condurrà all’hotel senza stelle di Simphorien  dove da una targa si  legge la parola in azzurro su sfondo giallo di “Bienvenue”. Veloce sistemazione di alloggiamento in camere senza luce che rendono preziose le nostre pile. Subito dopo, tutti in cortile per mettere qualche cosa sotto i denti. C’è allegria che fa da contraltare alla  stanchezza. Contenti di essere arrivati si va a dormire. Nella notte non si sentono rumori, se non il ronzio di qualche zanzara che nulla può contro le nostre armi letali  di protezione.

Ma dove siamo: Siamo arrivati esattamente in Africa occidentale nella Repubblica del Mali la cui lingua ufficiale è il francese essendo stata  già colonia francese fino al 20 giugno 1960 quando acquisì  la propria indipendenza con successivo ingresso nell’Onu. Le lingue etniche più comuni sono il Bambara e il Bore. È uno Stato di circa 15/16 milioni di abitanti con capitale Bamako il cui territorio è senza sbocchi sul mare. Confina a nord con l’Algeria e ad est con il Niger. A sud-ovest con il Burkina Faso e la Costa d’ Avorio, mentre a sud-ovest con la Guinea e ad Ovest con il Senegal. La religione prevalente pari al 85% è quella musulmana mentre i cristiani in assoluta minoranza orgogliosa sono si e no il 2% la restante parte sono  animisti o religione tradizionale. Le circoscrizioni ecclesiastiche cattoliche consistono in un’Arcidiocesi con sede nella Capitale con 5 diocesi suffraganee tra le quali SAN, là dove andremo.

Domani dove si va!: È mattino presto, nuovamente i bagagli vengono messi sul tetto del pulmino. Intanto faccio qualche fotografia dal  terrazzo sovrastante  dell’hotel dove abbiamo dormito per carpirne  momenti di vita. Si intravede un tentativo di urbanistica alquanto disordinata (il mio occhio professionale non può fare a meno di notarlo), non esistono i necessari servizi pubblici quali almeno l’acqua e la luce. Strade polverose all’inverosimile, sterrate larghe e diritte Si scorgono casette di modestissime dimensioni di una stanza, più in la staccato il “cesso” a cielo aperto protetto da tre pareti basse. Qui siamo in città e l’edilizia si presenta con mattoni e cemento il tetto è piano e senza camini. Si sentono da lontano vociare  tanti bambini che provengono da un cortile di un fabbricato un po’ più grande è  probabile che sia una scuola, anche se qui la maggioranza non la frequenta.
Non c’è il tempo di visitare la capitale non lo prevede il programma, ci  attende invece un lungo
viaggio  di quasi una giornata che ci condurrà nella città di SAN di circa 70 mila abitanti là
dove incontreremo il Vescovo Mons. Jean Gabriel Djarra. Prima si parte, prima si arriva, ma nonostante la premura di partire  si denota nel nostro accompagnatore, Padre Oscar opportunamente affidatoci dal Vescovo, la calma di chi la pensa diversamente: Ha ragione non vale la pena prendersela, del  resto “chi va piano va sano e va lontano”.  Finalmente si parte, si prende la strada principale mal asfaltata, si passerà per la città di Segou per poi raggiungere la  meta.  Certo che il miglioramento delle comunicazioni stradali aiuterebbe questa terra ad intraprendere un certo sviluppo visto che molte attività terziarie e dell’artigianato si svolgono sulle poche strade esistenti.
Si vedono ogni tanto alcuni segnali stradali di  limite di velocità e di avvertimento di dossi artificiali che messi insieme ai check-point e alle postazioni di pedaggio rallentano notevolmente la corsa.

Il paesaggio: Dal finestrino del mezzo che ci trasporta si vede una grande pianura che si perde all’orizzonte ma la precarietà delle precipitazioni impoverisce il paesaggio vegetale. Alberi di ogni essenza fanno da corona agli alberi maestosi del Baobab dai rami come se fossero mani nodose protese a graffiare il cielo. E arbusti e ancora arbusti tra i quali si innalzano termitai giganti e nani. Quello che non manca è la sabbia rossa che costeggia la strada e tanta e tanta polvere che sa penetrare nei posti più angusti. Sono alcune ore che stiamo andando, è necessaria una fermata per i bisogni fisiologici nonché per un pic-nic sotto un ampio albero dai lunghi rami pieni di foglie a far ombra. Un pranzo frugale, pane e un pezzo di carne arrostita, dell’acqua potabile che è sempre buona quando si ha sete. Il sole fa sentire il suo calore secco e via si riparte immersi nello stesso scenario botanico. Spesso si sente  il clacson del pulmino che richiama l’attenzione per un sorpasso di una corriera dai vispi colori,  carica all’inverosimile sul tetto di sacchi di miglio, pecore o capre con accalcati al suo interno i passeggeri locali, che quando non ci stanno dentro si vedono in piedi aggrappati  alla portiera. Non è folclore qui la vita, è grama per davvero, basterebbe ogni anno qualche piovuta di più per renderla più accettabile, perché  qui l’economia è prevalentemente agricola.

L’agricoltura:  I raccolti dipendono quasi integralmente dalle piogge che sono sempre scarse. Anche gli automezzi non ci sono e il solco viene ancora rivoltato manualmente con l’aratro tirato da una mucca o da un asino. Si vedono scorrere vastità di campi per la coltivazione del mais, del miglio e del cotone. La quasi totalità della popolazione  attiva è occupata nell’agricoltura, tuttavia il terreno arabile e le colture arborescenti ricoprono meno del 2% del territorio. Solo intorno alle varie scuole cattoliche cristiane, alle chiese, ai seminari sono coltivati terreni in modo ordinato e con perizia per ortaggi e frutti. Così avviene in taluni villaggi situati in prossimità del fiume Bani.
Ogni tanto si vedono uomini o donne con schiena ricurva e gambe divaricate  calare in un buco nel terreno una tanica o un secchio agganciato ad una corda, per poi con forza tirarlo in superficie pieno dell’acqua di prima falda non potabile che sfiora la profondità di circa 30 mt. necessaria per l’irrigazione degli orti e per le necessità domestiche. L’acqua che è fonte di vita qui, in mancanza di un piano di potabilizzazione. è invece fonte di malattie  che mettono a nudo  la  mancanza di medici messi a disposizione delle popolazioni.

La corsa continua: Spesso la corsa è rallentata quasi a fermarsi perché in mezzo alla strada c’è impassibile un asino o alcune capre che tentano di attraversare. In questo territorio occidentale non ci sono animali feroci o quelli dei safari che siamo abituati a vedere in televisione. Qui pecore mansuete, capre bizzarre, maialini insozzati, asini e mucche sono liberi allo stato brado, ma state sicuri che al calar del sole, come se ci fosse un ordine, si incamminano e raggiungono le proprie dimore.
Tra i rami di molti alberi sono abilmente costruiti i nidi degli uccelli dai molti colori. affascinanti Nidi principalmente sui baobab di grandi dimensioni per la dimora di un uccello blu argentato dalla lunga coda, nidi di uccelli di piccole dimensioni che pendono dagli alberi. Un magnifico uccello dal piumaggio azzurro si intravede svolazzare tra un albero e l’altro mentre su un filo è appollaiata una tortora dal colore marrone scuro senza collarino come abitualmente vediamo sui  tetti delle nostre case. 
Ma oltre agli animali lungo il ciglio stradale in prossimità di un villaggio, si vedono  tettoie sotto le quali si intravede chi taglia il legno, chi il ferro o chi a fatica tenta di togliere la gomma  di una ruota di camion.  Tettoie da quattro pali con una tela a far da copertura. Spesso le donne mettono in evidenza alcuni prodotti locali di frutta e verdura da vendere e tutt’intorno molti bambini trasandati che giocano tra di loro.

Il centro Giovanile di San: Manca poco, siamo verso sera e padre Oscar ci informa che siano in prossimità della città di San. Infatti da li a poco abbandoniamo la strada principale e si percorre sopra una strada sterrata dalla terra rossa come sono tutte le altre vie di comunicazione e si raggiunge il centro giovanile  gentilmente messoci a disposizione dalla diocesi. Finalmente arrivati, si scende il biglietto di andata è già staccato quello di ritorno si vedrà. I fumatori non perdono tempo altri accennano ad una piccola corsa per sgranchire le gambe rattrappite dal viaggio e altri ancora con le braccia al cielo o sul fondo schiena opportunamente ricurva all’indietro accennano ad un esercizio ginnico e nonostante qualche dolore si ride lo stesso.
La logistica vuole i maschi da una parte le femmine dall’altra in due stanzoni con letti  distinti. Qui c’è luce e l’acqua per una ripulita e così fan tutti dopo aver sistemato e svuotato i bagagli portando su un letto tutto quello che sarà lasciato, dalla cancelleria ai generi alimentari agli indumenti vari. Puliti e ripuliti  siamo attesi nella casa del Vescovo: ci attende per la cena e così risaliamo sul pulmino e ci presentiamo al cospetto di Mons. Jean Gabriel che ci accoglie con un grande sorriso. Normalmente quando pensiamo ai vescovi, ai cardinali ci vien di pensare  che sono persone ben messe in luoghi signorili dove l’accoglienza si fa attendere nel lusso di una dimora quasi proibita. Invece Mons. Diarrà è  alto e smagrito, a me pare una sardina secca con abito lungo bianco e con  in testa una berretta di lana: non si fa attendere ma è sulla porta ad accoglierci e a tendere la sua mano per un caro saluto di benvenuto. Siamo nella assoluta normalità delle cose e così lo sarà per tutti i giorni che resteremo a San. Un segno della croce una  preghiera e tutti a rifocillarsi.
E domani che si fa ? Semplice Padre Oscar richiama la nostra attenzione  e ci informa  che domani andremo ad assistere alla 1^ messa  di Padre Onorè nel villaggio IRÌ a distanza di un po’ di kilometri da dove siamo, del resto qui la misura della  distanza non è mai dato esattamente di sapere (solo dopo alcuni giorni si è capito che è inutile chiedere , tanto si arriva lo stesso).

Al villaggio IRÌ: Sono le ore 8 del 29 dicembre e come da programma si parte per andare ad assistere alla cerimonia religiosa della 1^ messa di Padre Onorè. In prossimità del villaggio con nostra grande sorpresa siamo aspettati da un nutrito gruppo di persone in festa. Uomini, donne e tanti bambini ci accolgono  a suon di musica tambureggiante e la melodia di un canto quasi tribale che ti prende e ti coinvolge.
Tamburi e tamburelli  un  silofono artigianale (“balaphone”) a far da padrone, alcuni aitanti giovani dai costumi ancestrali danzano al ritmo incalzante. Ogni tanto si sento delle fucilate: no, non siamo a caccia, ma il suono assordante di quei fucili antichi sostituisce i nostri botti pirici. Incredibile il tutto. È quasi un atmosfera magica dentro una scenografia vera e non costruita. Il primo impatto è di emozione non solo per l’accoglienza ma per come la sanno esprimere pur nella loro semplicità e assoluta povertà. Tutti con un sorriso,  come a dire: io non ho nulla ma ti dono  tutta la mia gioia. Quando mai dalle nostre parti qualcuno sorride disinteressato? E intanto  ci mettiamo dentro il corteo e camminando quasi ballando arriviamo davanti ad una piccola chiesetta di argilla e paglia a due falde di lamiera di copertura con posta alla sommità delle stesse una croce. Sulle due pareti  laterali  ci sono tre finestrelle, i banchi dei fedeli sono a lato destro e sinistro soltanto dei gradini con in mezzo lo spazio per il passaggio. Un semplice altare e le pitture ad evocare la via crucis. Davanti alla chiesetta a far da corona ci sono in  semicerchio sei grandi alberi sempreverdi che impediscono il  trafiggere dei raggi solari che già dal mattino presto incombono. Naturalmente canti e musica non cessano un attimo e tengono la festa sulla corda. In addossamento alla facciata della chiesetta ci sono due bianche tende sorrette da tubolari sotto le quali sono collocati in attesa dell’officiante la corale di ragazze e ragazzi guidati dal loro maestro e un nutrito numero di sacerdoti concelebranti tra i quali il nostro don Du  con  al centro della schiera il vescovo mons. Jean Gabriel Diarrà. Si resta in attesa del novello sacerdote che viene accompagnato all’altare sotto una tenda sorretta dalle braccia di alcuni fedeli  e noi siamo stati gratificati di rimanere in prima  fila ad assistere alla Santa Messa. Padre Onorè si presenta come da loro tradizione con il costume del villaggio con in testa il tradizionale cappello, un macete sulla spalla sinistra e un lungo bastone nella mano destra. Davanti, a segnare il passo, un vecchio saggio del villaggio In prossimità dell’altare cessano i canti e i suoni e il novello sacerdote consegna il costume tradizionale per poi dare inizio alla sua 1^ celebrazione religiosa. L’altare è un semplice tavolo, il leggio si vede che è appena stato artigianalmente messo insieme.
Da lontano si sente il rumore di un generatore di corrente che consente l’amplificazione della
voce dei vari interventi compreso dell’autorità civile e quello del Vescovo opportunamente breve per non togliere nulla alla festa Dopo alcune ore termina la cerimonia  un giro nel villaggio e si ritorna a San.

Scuola e Cooperazione: Dopo il pranzo un’ora di riposo e via si riparte per la visita ai lavori di costruzione di un nuovo fabbricato che sarà il Seminario medio con la scuola di agricoltura per i giovani studenti seminaristi, che nel futuro saranno di sprono e di aiuto per il popolo per un ordinato sviluppo. Il tutto rientra in un progetto di cooperazione che padre Manuel in qualità di responsabile sta portando avanti con tenacia pur nelle difficoltà quotidiane. Ribadisce un concetto fondamentale : è inutile emigrare per restare poveri in altri paesi, bisogna rimanere qui sulla propria terra con fatica ma con la propria dignità! Bravo padre Manuel se tutti la pensassero così forse sarebbe un mondo diverso e un giorno anche lontano sono persuaso a credere che lo sarà. Il progetto è costituito da una palazzina ad un piano con soprastante tetto piano. Al piano terra sono predisposte camere messe in fila una accanto all’altra con portichetto sorretto da pilastri in cemento armato. Tutto intorno ci sono ampi terreni che saranno opportunamente coltivati dagli studenti lavoratori. Tra le goliardie di Samuele che si arrampica sul tronco a terra di un baobab sradicato, ci incamminiamo per intraprendere un nuovo itinerario che ci porterà alla scuola liceale con Suor Natalie a far da cicerone. Si tratta di una scuola cattolica aperta a tutti.  Arriviamo in una vasta area recintata con tre edifici in cemento dalla stessa tipologia della scuola  di agricoltura appena  visitata. Una palazzina è destinata al soggiorno degli studenti, una seconda al magazzino e la terza all’ Istituto scolastico.

Chi è di nessuno: Siamo all’imbrunire e il programma prevede la visita all’0rfanatrofio, che  viene regolarmente fatta. E’ un edificio inaugurato nell’anno 2008 e quindi di recente costruzione. Sono le suore dell’Annunciazione ad accudire 58 bambini che sono di nessuno. Alcuni di noi entrano e li troviamo al centro di una stanza a mangiare in comunione un pugno di riso dalla ciotola. Con  grossi occhi sbarrati ti guardano quasi impauriti dalla nostra invadenza ma sono anche incuriositi e taluni con la voglia di toccarti di essere toccato come a dire: portami via. Alcune ragazze aiutano le suore nella sala del ricambio e altre nella sala dei lettini dove bambini ancor più in tenera età sono opportunamente sdraiati  a pancia in giù. Qui ho avuto un incontro particolare con un bambino dallo sguardo maturo che davanti alla mia macchina fotografica abbassando i suoi  occhioni  pur non parlando mi ha fatto sentire un cretino. Sono uscito alquanto rattristato al pensiero che forse là senza un progetto non ci dovevamo andare.

Visite istituzionali: 30 dicembre. La notte è stata un po’ più turbolenta del solito dovuto al rumore greve del sonno di taluni, ma poi si prende sonno fino al risveglio.  E’ la seconda giornata utile che inizia col consueto “lamento” musulmano della vicina moschea che risveglia non soltanto gli uomini ma anche il raglio premonitore degli asini. Certo c’è libertà religiosa, loro liberi di amplificare la voce e noi a suonare le nostre campane. Si ma quali campane se da li a poco si sente una sola stonata e sproporzionata campanella della  cattedrale che avverte la santa messa. Forse loro pregano più di noi, ma  attraverso la religione tendono sempre di imporre il loro stato sociale.  Dopo la colazione una foto di gruppo con il Vescovo e via a dar corso al programma giornaliero che in mattinata prevede tre visite istituzionali : la prima al Prefetto, la seconda al Sindaco e la terza al Parroco di San e ai suoi più stretti collaboratori. Puntuali entriamo in un cortile  con recinzione in muratura sul quale insiste un fabbricato con prospiciente porticato con una rete  tra un pilastro e l’altro, tesa ad impedire l’intromissione di pipistrelli tanto che talune carcasse degli  stessi  erano già impigliati da chissà quanto tempo. Nell’ordine e nel disordine del poco verde entriamo nello studio del Prefetto che cortesemente ci ospita e ci mette  nostro agio. Il Prefetto in completa divisa è uomo  di piccola statura tanto che si appresta per  affermarne la sua  piena autorità a mettersi in testa  il cappello più grande di lui. Seduto nel mezzo ha fatto presente la sua piena collaborazione con la diocesi e ha illustrato la sua giurisdizione. Qualche battuta sullo stato democratico a rievocare il motto della Rivoluzione Francese e un saluto finale per tutti sulla porta imbottita e ricolma alla sommità di polvere rossa.
Ora andiamo in Comune ad incontrare il Sindaco che, purtroppo ci informa il suo vice e il segretario generale,  è momentaneamente impossibilitato di riceverci. Il palazzo comunale è un edificio in muratura posto su due piani con porticato centrale sulle cui murature sono affissi centinaia di fogli  anagrafici che ne costituiscono l’albo pretorio. Siamo ricevuti in una sala di modeste dimensioni da tempo tinteggiata in azzurro con sovrapposti alcuni disegni dal tratto incerto che richiamano la terra e le sue tradizioni. E’ la sala del Consiglio Comunale dove due tavoli allineati fanno da postazione del Sindaco mentre le prospicienti  sedie opportunamente numerate sono il posto dei consiglieri comunali.
Sullo sfondo della parete, alle spalle della postazione sindacale, sono riportate delle scritte che indicano i nominativi dei Sindaci che si sono via via succeduti e gli anni del loro mandato. Dopo la nostra individuale presentazione e le parole di circostanza salutiamo cortesemente chi ci ha ospitato. Sarebbe statuto utile scambiare qualche informazione circa la formazione  amministrativa, i servizi e quant’altro. Ma lasciamo perdere, oltre la cortesia nulla più. Mentre stiamo per lasciare il Municipio (hotel de la ville), il Sindaco ci viene incontro e ci saluta tutti con una stretta di mano, se non altro a riconoscimento del prezioso servizio che la diocesi di San sta facendo per l’intera popolazione. Chiusi i convenevoli, due foto e via di corsa presso i locali annessi alla cattedrale di San.
Entriamo in classe e ordinatamente ci sediamo ai banchi già predisposti a quadrato di fronte al Parroco (p. Francois d’Assis), al responsabile economico a quello scolastico. Si scambiano le idee si raffrontano le varie posizioni in ambito scolastico, e soprattutto  il lavoro per i giovani dovela chiesa sta dando inizio ad un programma di rafforzamento e di conseguente sviluppo  rivolto all’Agricoltura, unica risorsa alla quale poter attingere. Dagli interlocutori si avverte in loro
la “speranza”  e non vi è rassegnazione. Sognano per i propri figli un futuro come il nostro, di contro Diego fa presente che il progresso tanto agognato porta  alla perdita dei valori, al che il Parroco  ritiene  pertinente l’osservazione ed è consapevole di correrne il  rischio, ma senza sviluppo non è nemmeno possibile assicurare una vita dignitosa. Invero il confronto è improponibile poiché diverse sono la temporaneità dei fatti storici e le localizzazioni. A concludere l’economo chiede a don Du  qual è il suo segreto nel saper coinvolgere più persone pur avendo cambiato casa ? La prima risposta  di spirito è stata: se è un segreto non posso svelarlo, ma subito dopo dice : che  la chiave sta nel saper carpire e valorizzare la curiosità delle persone che non viene mai meno, soprattutto là dove c’è uno stato di bisogno. Termina qui l’incontro. Sembra di sentire suonare la campanella di fine lezione. Un po’ stanchi e anche sonnolenti si fa visita ai lavori in corso di ampliamento della cattedrale, un edificio per certi versi imponente, di notevole altezza quasi a pareggiare quella del campanile senza campane. Ci sono due campanelle che mi riportano al suono di quelle di Monte Oliveto. Si ritorna alla casa vescovile per rifocillarsi per poi ripartire alla volta della Radio Cattolica Parana collocata in un vasto podere dalle piante sempre verdi, un fabbricato in cemento. Le anticipazioni dei titoli del giornale radio delle 16,30 annunciano la nostra presenza e negli studi entrano in rappresentanza dell’intero gruppo Donato, Elisa, Giorgio e Anna che senza alcun timore della diretta, in perfetto francese (anche se Giorgio si sa avrebbe preferito parlare in Inglese) hanno portato una bellissima  testimonianza di amicizia e di fratellanza tra i popoli. La loro voce era diffusa anche all’esterno sotto un gazebo, dove i rimanenti del gruppo con orecchio tirato hanno espresso il loro apprezzamento per quanto hanno sentito dire.  Bene ora cosa si fa ?! Si riparte  in direzione di  una struttura caritatevole  per incontrare le suore di Santa Madre Teresa di Calcutta dal vestito bianco ornato dagli inconfondibili bordi azzurri.

Chi è di qualcuno: Dopo alcuni kilometri di percorso da li a poco entriamo in un cortile  e mentre il pulmino si sta ferma, si vede una suorina con le vesti  in mano fino alle ginocchia attraversarlo di corsa  per avvisare del nostro arrivo la sua superiora, una  minuscola donna di giovane età che ci invita ad entrare in un salone illuminato dal sole e opportunamente addobbato per le festività. E una sala occupata da non poche donne con i loro figli, chi in braccio, chi nel fagotto dietro la schiena, come si usa da queste parti. Alcune mamme nel comprendere la bontà del nostro incontro abbozzano in segno di ospitalità una danza accompagnato da un loro canto. I bambini guardano spauriti e sia aggrappano alla mamma.
Sono bambini di pochi mesi altri di pochi anni con problemi di malnutrizione che qui vengono accuditi  senza essere tolti dall’amore materno.  Anche qui è una emozione forte che ti entra dentro, Alba ne fa le spese, gli occhi si inumidiscono: vorrebbe prenderli tutti tra le sue braccia. Un saluto a tutte le mamme, una carezza a tutti i bambini e in silenzio si entra in una piccola cappella per una preghiera perché  quando l’emozione ti prende si smette di parlare e don Du, cogliendo  al volo questa situazione, davanti al modesto ma significativo presepe intona e noi a seguirlo  la più bella canzone di Natale : Tu scendi dalle stelle. Mai canzone più appropriata poteva essere cantata lù dove proprio Gesù bambino era in ogni bambino che abbiamo accarezzato. E’ stata un’emozione meno invasiva di quella vissuta all’orfanatrofio: sarà perché qui i bambini seppur malsani sono con le loro mamme, sono comunque di qualcuno. Si conclude così la visita e si ritorna mesti alla base, pronti a ripartire per il giorno dopo. Ma la giornata non finisce qui perché alcuni giovani sotto lo sguardo sorridente del Vescovo hanno inteso in nostro onore mettere in scena nelle salone delle animazioni (Centro Giovanile)  canti e  balli tradizionali che hanno coinvolto l’intero gruppo. E’ ora tarda tutti a nanna domani è lunga.

Ultimo giorno dell’anno: 31.12.2011 E’ mattina presto, il viaggio è lungo, tutti in piedi con armi e bagagli a raggiungere la meta programmata, la Parrocchia di Mandiakuy. Ma prima a metà percorso il “carro bestiame” si ferma in una parrocchia dove Anna e Giacomo incontrano con trepidazione e commozione una ragazzina che hanno adottato a distanza. Peccato non potergli dare quanto con parsimonia  avevano da giorni preparato per lei, purtroppo quel bagaglio arriverà e Anna all’incontro con gli occhi bagnati dalla commozione si prodiga a fargli capire quanto era accaduto, il cruccio che non abbia capito rende irrequieta Anna. Abbracci forti che danno il senso della gioia di quel momento speciale. Alba e Fabrizio hanno in braccio un piccolo bambino, Sonia abbraccia una ragazza, Flora continua a scattare foto, non capisco bene se sono dirette adozioni o per interposta persona, comunque si respira un’aria di felicità. 
Intanto all’inizio della strada che conduce alla
parrocchia un baobab maestoso fa da sentinella e Walter ai suoi piedi si mette in posa per un contrasto di proporzione inusitata. Samuel che non è abituato a fare le cose normali tende una scalata al grande albero solo che va ad importunare un nido d’api le cui guardie della regina partono in attacco a colpire sulla narice destra il mal capitato Walter che affascinato dalla maestosità dell’albero se ne stava  ancora li con il naso all’insù. Si fa tardi dobbiamo ancora fare molta strada e così si riparte perché dobbiamo fermarci ancora a far visita all’anziana madre di Padre Manuel nel villaggio Manina dove è nato e cresciuto.
Arriviamo e l’accoglienza è piena di dignità nella palpabile povertà. E tutti insieme consumiamo il cibo offertoci con generosità. Siamo in un cortile  alle spalle del quale insistono due modeste costruzioni una delle quali in fase di ristrutturazione. Infatti due muratori  mescolano sabbia e cemento insieme, così come facevano i nostri padri negli anni sessanta. Terminato hanno realizzato una grande ciambella nel cui buco hanno riposto dell’acqua che insieme al miscuglio ha dato origine alla malta cementizia utilizzata per il rifacimento delle murature perimetrali in luogo di quelle che le piogge e il sole hanno da prima fatto crollare. Intanto che osservo i lavori edilizi il fratello di padre Manuel ci consegna in dono, così sono le usanze in questa terra: un caprone bianco che maldestramente i nostri autisti incaprettano e legano sul portabagagli. E così il caprone si aggiunge agli altri che stanno sotto. Ma cosa ne facciamo: si concorda che sarà lasciato in dono al Vescovo non appena saremmo ritornati a San, ma lo cosa  pareva non reggere in considerazione del fatto che il nostro viaggio sarebbe durato due giornate intere, ma… Qualcuno aveva già tramato poiché  si saprà il giorno dopo l’infausto destino del mansueto animale.  Tra il belare del caprone che richiama i più attenti e la visita di un ramo di un grande fiume in secca, si saluta e si ringrazia dell’accoglienza e si ritorna sul “torpediniere” non prima di aver salutato la vecchia signora Dorotè.
E via di nuovo,  si lascia la strada maestra per le scorciatoie  infestate dai lunghi rami degli alberi  che picchiano e sbattono sulla carrozzeria dell’automezzo che ci trasporta. Una foto ad un grande e a un piccolo  termitaio e la corsa riprende il suo  cammino. Si raggiunge la meta prefissata ovvero parrocchia di Mandiakuy. Scarichiamo i bagagli insieme al caprone che là, sopra il pulmino, ne ha viste e sentite di tutti i colori. Inutile descrivere se ci aggrada o meno dove siamo alloggiati tanto si sa  che qui bisogna fare di necessità virtù; peraltro è per una notte sola. Intanto che aspettiamo di incontrare il Parroco  si va a vedere il mercato posto all’inizio del villaggio e che visto il pomeriggio  sta sbaraccando. Come in tutto il Mali non c’è villaggio che non abbia il suo mercato, perché il maliano è un mercante di natura, baratta i suoi prodotti, e sotto le tettoie di paglia sorrette da storti e contusi pali si possono scorgere prodotti e merce di tutti i tipi. Le donne la fanno da padrone, intanto che allattano vendono frutta e verdure, frittelle e noccioline tostate. Intanto asini maialini  scorrazzano indisturbati.

Capodanno: E’ una notte diversa dalle altre perché segnerà il passaggio del vecchio anno a quello nuovo. Intanto il Parroco nel dare il benvenuto offre la cena e tutti a prendere sul tavolo posto al centro della stanza allietata dalla musica quello che la provvidenza aveva preparato. Spaghetti del posto con spezzatini di carne, un pugno di riso, una birra. Ma come sempre per finire bene Antonietta estrae dal cilindro dei pezzi di formaggio e una fetta di panettone. Lo spumante è tenuto in fresco per la mezzanotte. Sono solo le ore 21 devo ricordarmi che in Italia sono le 22 e che quindi fra un’ora devo chiamare la mia dolce metà per gli auguri di capodanno, non dimenticando il mio cagnolone che per ora non sa ancora risponde al telefono ma capisce chi sta chiamando. Nella quiete della sera si odono delle musiche giamaicane e incuriositi con le pile in mano sotto un cielo stellato da mozzare il fiato andiamo a raggiungere la fonte della musica. Non sembra vero ma in mezzo a tanta povertà esiste un locale opportunamente recintato con antistante pista da ballo, un circostante giardino sempre verde con piante ornamentali e buganville  multicolori. Un paradiso in mezzo al null, un paradosso nel paradosso. Walter che ore sono per favore ? Le 23. Allora chiamo casa per gli auguri. Pronto ?? Franca sono io li è mezzanotte … Auguri mia cara di buon anno ! Grazie lo stesso anche se qui sono ancora le ore 23! Walter mi ha fatto uno scherzo da prete. Dopo che don Du e altri hanno terminato di scatenare nel ballo la loro adrenalina siamo ritornati alla mensa del Parroco. Mancano dieci minuti alla mezzanotte, Anna tiene il conteggio del cronometro e ai dieci secondi.. meno 9, ….meno 3, meno2,  meno 1 AUGURI !!! e su i tappi, tra baci e abbracci “Buon Anno” per  tutti” Mentre in Italia chissà quanti botti, insegne luminose a disperdersi, cenoni, donne in lungo e lustrini, chi più ne ha più ne metta e quanti soldi spesi inutilmente. E qui? Il silenzio, qualche fuoco acceso fuori le capanne alcuni che gridano “ Bon Annèe” e nulla più.  Domani è un altro giorno si vedrà!  Incontreremo la gente del villaggio. Se ne andato un anno carico di contraddizioni che qui si moltiplicano: buona notte e… buon 2012!

Inizia il nuovo anno: 01-01-2012  Sono sveglio  e come da un po’ di tempo a questa parte è assai presto. Mi appresto a terminare le operazioni igieniche presso la fontanella in mezzo al campo, poi mi incammino in anticipo verso la sede parrocchiale e nel tragitto mi imbatto in una donna e due uomini che a tutto denti mi salutano “ ça va” “ça va bien” rispondo e di contro annuiscono. Il nuovo anno è iniziato bene: ho ricevuto saluti sinceri e sono contento, un po’ meno quando giunto nel cortile della canonica vedo il cuoco slegare il nostro caprone che si impunta. Non vuole seguirlo quasi sapesse dove sarebbe stato portato. Ma non dobbiamo portarlo al Vescovo ? No! È il  pranzo di oggi, che naturalmente non ho avuto il coraggio di consumare.

Messa a Notre Dame: Prima della Santa Messa  del nuovo anno dedicata a Maria Madre di Dio è opportuna una visita alla chiesa parrocchiale che si presenta  alquanto imponente con in testata all’estremità perimetrale due alti campanili orfani di adeguate campane (che presto arriveranno come dono degli odolesi) quasi a richiamare la tipologia di Notre Dame di Parigi. La planimetria è costituita da una campata centrale a croce. Il tetto a due falde con lastre di copertura in lamiera ondulata sorrette da travi reticolari in ferro sui quali pendono appollaiati dei grossi pipistrelli. Le postazioni a sedere non sono dei banchi ma dei semplici muretti di mattoni e cemento. A lato destro siedono gli uomini mentre a lato sinistro le donne come era ai tempi dei nostri genitori. L’altare è un semplice basamento di cemento con a fianco un leggio di legno grezzo  artigianalmente costruito, così come lo sportello del tabernacolo a lato. In alto in una modesta piccola abside è collocata la statua della Madonna con il Bambin Gesù tra le braccia. Suona la campanella di richiamo dei fedeli. In poco tempo la chiesa si fa piena e su tutti  spiccano i bellissimi vestiti delle donne dagli smaglianti colori, sempre sorridenti seppur nella povertà, nella miseria di tutti i giorni che qui si tocca con mano. E’ proprio vero che la miseria non può produrre che miseria; come il carbone non cambia colore quando si lava, anche la povertà abbellita dei colori più smaglianti rimarrà povertà. E’ stata una bellissima cerimonia religiosa e alla fine don Du ha voluto salutare i fedeli e presentare ognuno di noi lasciandomi il tempo a sua insaputa di estrarre e sbandierare la bandiera italiana al grido di :  “Bon annèe a tout le monde”  Tra il suono e il canto l’assemblea in devoto silenzio si scioglie. E’ una bellissima giornata di sole che scotta.


Arti e mestieri : Nelle varie attività di cooperazione  Padre Manuel ci porta  a pochi passi dalla chiesa a visitare un  laboratorio dove sole donne producono e confezionano il burro di karitè di cui pare se nepossa fare qualsiasi uso. Viene estratto da un nocciolo che cresce su una pianta autoctona. Sono gli stessi noccioli che lungo le strade nei vari  percorsi si scorgevano in catini di cemento sopra il fuoco acceso per la tostatura, per essere poi venduti in sacchi ai produttori per l’estrazione del miracoloso burro. Poco più in la  si entra in un altro  fabbricato di modeste dimensioni  dove invece si può ammirare l’arte del ricamo, di tovaglioli, tovaglie, coperte che le sapienti mani di alcune suore provvedono a realizzare e mettere in vendita. Da un lato la chiesa, la diocesi a promuovere la cooperazione dall’altro il libero mercato.
Qui le arti e i mestieri  si sviluppano soprattutto lungo le strade di comunicazione. Sotto una tenda o una lamiera sorretta da quattro  sbilenchi pali  si possono vedere  meccanici che aggiustano motociclette o le poche bici che si vedono in giro, falegnami che costruiscono mobili, fabbri che piegano e rimettono in sesto cancelli di lamiera, gommisti che con una leva in mano a pedate tentano di togliere il copertone di una ruota di autocarro. Ai distributori di gasolio fanno riscontro i numerosi banchetti con in fila delle bottiglie che sembrano piene di liquori o di vin quasi bianco ma che invece sono dei piccoli distributori di miscela per le numerosissime motociclette cinesi o giapponesi che perversano e scorrazzano  su tutte le strade. E così tra un artigiano e l’altro provetti macellai sono alla prese al taglio della carne di una pecora o di una capra che sul retro aveva appena scuoiato ed esposta a  prendere più polvere che aria per poi essere messa sul fuoco ad abbrustolire. Fanno da corona i negozi all’aperto di frutta e verdura, di frittelle, di legna e fieno di noleggio di carretti e degli aggiusta scarpe.
Nei negozi al coperto dentro modesti fabbricati di cemento mescolato all’ argilla si svolge la grande distribuzione di generi alimentari o di chincaglieria, con esposizione esterna di attrezzi artigianalmente costruiti per il lavoro contadino, martelli, zappe, secchi di lamiera, sacchi di cemento caricati su carretti trainati da asinelli dalla faccia triste non solo per il peso che devono portare ma per le bastonate che spesso prendono sulla schiena. Tutto si svolge nel disordine più assoluto dentro la mancanza di pulizia da carte, cartacce e da quei sacchetti neri che infestano portati dal vento l’intero territorio del Mali; ma sono gli odori, i colori,  radicati negli usi e costumi di questa terra.

La prima parrocchia:  E’ terminato il soggiorno nella parrocchia di Mandiakuy nel primo pomeriggio si ricaricano i bagagli e si riparte per il ritorno a San con una tappa intermedia in piena savana per rendere omaggio alla prima parrocchia di Iasso, una piccola chiesetta rustica di modestissime dimensioni costruita con fango e paglia con alla sommità delle due falde del tetto una croce quasi pendente. Si entra da una porta in ferro di lamiera. Curioso vedere che davanti alla chiesetta ci sono alcuni pali che sorreggono della paglia e degli arbusti secchi a far da tetto a un parcheggio di animali, forse saranno per gli asinelli che portano i loro padroni alla messa domenicale.
Sulle pareti laterali sono disegnate le stazioni naif della Via Crucis Quando si  varca la
soglia viene  proprio da chiedersi: ma qui  in questo quasi deserto ci verrà mai qualcuno? Si. È  
l’encomiabile abnegazione dei giovani sacerdoti della stessa etnia che sanno parlare al cuore dei più sperduti fedeli. Rientriamo, ci mettiamo a posto per essere pronti a ripartire il giorno dopo per il seminario della parrocchia di Togo.

Cooperazione, scuola e pescatori: 2.1.2012 si riparte alla volta del collège sèminaire Saint  Paul in Togo. Si prende la strada principale in direzione di Tominian. L’allegria della compagnia si fa più seria quando Rosanna dal finestrino vede una valigia volare in strada. La fortuna vuole che nessuno fosse nella scia del nostro automezzo, nessun ferito solo la curiosità di intere famiglie  appollaiate sui carretti  trainati da asinelli o da smagriti cavalli, tutti in fila per recarsi al mercato di San. Recuperato il bagaglio di Giorgio si riprende  la marcia e dopo un’ora si fa sosta per una foto di gruppo sotto forse il più grande  baobab del Mali, dietro il quale una famiglia stava costruendo e mettendo al sole per essiccare mattonelle di argilla per la propria nuova casa. Da lontano tanti bambini corrono appresso con le mani alzate in segno di saluto con un sorriso smagliante con occhi grandi e rotondi dell’innocenza che nulla può contro la condanna di dover inconsapevolmente sempre vivere in stato di bisogno. Ora bisogna andare e si giunge direttamente  alla destinazione prefissata.
Si aprono i cancelli, ci sediamo intorno ad un terrazzo con al centro il tavolo imbandito dal cibo assai buono e ben preparato. Non occorre dire pancia mia fatti capanna. Merci  al cuoco e poi tutti a trovare sistemazione per il dormire in una camera comoda per due letti e non per otto, con gli  accessori sanitari  fuori stanza. Per la notte pila in mano e…buona fortuna sperando di non capitolare come ha fatto Giorgio la sera prima.  Bisogna fare presto perché  il programma prevede un’ispezione tecnico-agraria presso le coltivazioni agricole che rientrano nel progetto tanto caro a Padre Manuel di cooperazione a ridosso del fiume Bani (il vivaio di Baramandougou).
Nel frattempo una sosta per un breve saluto alle suore presso la  parrocchia di Sokurà che comprende  una scuola e un cento di animazione per giovani realizzato nel gennaio 1992 dalla Caritas di Brescia, dal servizio volontari di Gavardo e Vestone in memoria del nostro Papa Paolo VI°. Un saluto alle suore e via di nuovo per dove dovevamo andare.
Si abbandona la strada maestra per intraprendere  sentieri sterrati più polverosi del solito. Gli alberi sembrano fiorire ma  è la polvere rossa  sulle foglie ad ingannare la vista, si resta in apnea e…… fazzoletto alla bocca per poter filtrare la respirazione. Si attraversano villaggi sperduti, si incontrano mandrie di mucche e si vedono svolazzare stormi di uccelli bianchi che sembrano aironi. Sono  garzette uccelli d’acqua che preludono all’arrivo della meta. Da lontano infatti si intravede il fiume Bani e poco dopo ci ritroviamo in mezzo alle piantagioni che Padre Manuel  si appresta ad illustrare nelle loro peculiarità. Siamo a ridosso di  un grande fiume tre volte tanto il nostro Po, le cui acque per il perdurare della siccità si sono alquanto ritirate. I pescatori come i contadini sono da tempo in attesa delle piogge, intanto sopravvivono con il poco che hanno. Sulla  riva alcune donne lavano i panni e le stoviglie altre nel villaggio a frantumare con un grosso palo il miglio in un crogiolo. Anche qui bambini grandi e piccoli ovunque e Alba vorrebbe prenderli per mano tutti e per tutti si accontenta di prendere in braccio un simpatico pacioccone.  Sul fiume alcuni pescatori calano  le reti altri le ritirano con scarso bottino e si rendono disponibili per portare sulla riva opposta  con le loro affusolate barche i più temerari. Alcuni di noi si apprestano a salire sulle piroghe quasi in cerca di nuove avventure carichi di desiderio e più di paura di andare a  bagnomaria.

Sguardo fisso, braccia tese, non muoversi, le mani che stringono il bordo dell’imbarcazione e al grido : terra…terra… si scende in fretta quasi a scrollarsi di dosso un pericolo. Dopo la  visita sulla sponda appena esplorata di un altro gruppo di casupole o di pescatori la dove l’anziano capo del villaggio ci accoglie e saluta con fraterna amicizia. Ma è ora di ritornare, si risale sulle barche  con meno preoccupazione provvedendo per il pedaggio ad acquistare  dal barcaiolo alcuni pesci gatto appena pescati e via di corsa sul “torpediniere” per ritornare al campo base di Togo.
Dopo una ripulita, tutti seduti in terrazzo per la cena a conclusione della quale gli abitanti del villaggio hanno voluto regalarci una a dir poco magnifica serata. Alla melodia di suoni, al ritmo sfrenato dei tamburi  tutti insieme a ballare a scatenare la gioia di un nuovo incontro fino a ora tarda. Le mamme tra una poppata e l’altra con i figli legati sula schiena  a danzare come non mai. Tu… Tu.. Tu.. parte il trenino con a capo don Du a seguire donne e bambini e a chiudere Suor Natalie. E’ stato bello ritrovarci tutti insieme ! è stato un atto di condivisione e di fratellanza. Gli occhi incominciano ad essere stanchi è tardi domani ci aspetta il viaggio a Djennè e il ritorno a San. Si spengono le luci e……Buona notte.

La scuola e i Luoghi dell’infinito:
3..1..2012  I bagagli sono stati opportunamente caricati, ma prima di partire si assiste alla cerimonia di apertura della scuola dopo le vacanze natalizie. Arrivano in silenzio molti studenti e studentesse, non corrono come sempre, si radunano in semicerchio intorno ad un palo dove all’ordine di attenti si assiste all’alza bandiera dai colori verde, giallo e rossa che sale lentamente al lieve canto dell’inno nazionale di tutti i presenti. Mi ritorna in mente quando ero militare ed è un momento di emozione. All’ordine di riposo la nostra Anna a nome dell’intero gruppo interviene per un caro saluto, richiamando tutti da buona maestra al dovere dello studio che aiuta a rendere più liberi. Avrà certamente  detto di più, ma  la distrazione a immortalare l’evento ha distratto l’attenzione, ma del resto come fare a farsi sfuggire questo appuntamento che per qualcuno magari potrebbe  sembrare un momento nostalgico ma che per come stanno da noi le cose sarebbe davvero interessante per ripristinare il senso dell’appartenenza nazionale, della condivisione dei valori, della storia che il nostro tricolore rappresenta. All’ordine di riposo, tutti nelle loro classi, un saluto agli insegnanti, a padre Bienvenue e ... arrivederci.
Si lascia così il seminario di San Paolo a Togo per la volta di Djennè  sede della grande moschea riconosciuta patrimonio dell’Unesco. Verso le ore 11 si arriva sulla sponda di un fiume  si scende per salire su una barca che ci porterà sula riva opposta  dove ci attende il nostro pulmino che è stato a sua volta traghettato. Si comprende che siamo in un’altra zona e la prima sensazione che poi si conferma è di essere arrivati in una città ancora più sporca e disordinata. Una guida ci conduce in mezzo alla città, un odore acre che non ti lascia mai. Fognature a cielo aperto, vicoli stretti e tortuosi danno se non stiamo insieme un senso di insicurezza. Le case di argilla e paglia sono addossate l’una all’altra e nei piccoli cortili interni  si svolge la vita familiare. In uno di questi angusti cortili si sale per una scala al piano superiore dove le donne da un secolo artigianalmente realizzano tessuti colorati di possibile acquisto: i bogolan.
E’ una città prettamente musulmana e in prossimità della moschea si svolge ogni giorno il mercato delle donne che attraversiamo di corsa, del resto non c’è nulla di nuovo sotto il sole, i prodotti sono sempre gli stessi. Si esce dal mercato e siamo sulla piazza polverosa, rifiuti, motorette e vecchie macchine, pecore e capre fanno da corollario all’imponente storica moschea che ha un suo particolare fascino se non altro per la sua storia, che dai libri si può sinteticamente leggere:  “All’inizio di ogni  primavera gli abitanti di Djennè diventano per un giorno muratori acrobati per rifare l’intonaco dell’edifico più fragile e più sacro. L’argilla è densa mobile e grigiastra e nei cesti di paglia i ragazzi e le ragazze la passano ai manovali volontari che  a mani nude compiono semicerchi per rendere la superficie liscia e uniforme.
Gli uomini da prima  usano  lunghe scale per poi abbarbicarsi lungo le pareti facendo uso  dei pali sporgenti che fanno la caratteristica della costruzione “a istrice”, dell’edificio più sacro dell’Islam in Africa occidentale. Dopo la lunga mattinata di lavoro frenetico, quando il sole brucia alto nel cielo, la Grande Moschea ha ormai ritrovato la sua nuova pelle. Il canto del muezzin suggella la gioia della fatica. Anche per quell’anno  il miracolo del fango si è compiuto.”   La grande moschea davvero per certi versi è un  luogo dell’infinito  ma….. intorno nulla più.
Il mezzogiorno è ormai passato e la guida ci  porta in un ristorante che per quello che si vede in giro non suscita molto interesse, tuttavia si entra  sotto un rustico porticato come una vecchia nostra osteria. I tavoli e le sedie sono già accostati. Buon appetito si sente dire da un tavolino separato dove siede una nostra connazionale  della Sardegna, ma di casa in quel di Verona; è lei che ci rassicura della bontà del menu che alla fine è stato buono davvero.  Sono le ore 15 passate e dobbiamo affrontare il viaggio che ci porterà a San. Tutti ai propri posti cinture allacciate si ritorna indietro se non prima soffermarci a salutare il Parroco di Sokurà che all’andata non era in sede (NB: qui in Mali non si può passare in nessun luogo senza rendere saluto a chi vi abita: sarebbe un grande segno di maleducazione). Si riprende il cammino e a tarda sera stanchi, sgrassati e sfamati  si torna a dormire. È la notte che precede il ritorno alla capitale e domani mattina presto alle ore 6 si parte
Vedi Bamako e puoi muori: 4.1.2012  È mattino assai presto, il muezzin si è già fatto sentire un paio di volte, è ancora buio e mentre si caricano i bagagli si presenta sulla porta il Vescovo Jean Gabriel a salutarci  come aveva promesso. Con strette di mano e abbracci sinceri lasciamo piuttosto in fretta la città di San per riuscire prima di sera a far compere di ricordi all’Artigianato locale nel centro cittadino di Bamako. I passeggeri sulla nostra corrierina sono allegri, si tenta di cantare qualche canzone, forse senza dirlo siamo contenti che si torna a casa, perché a mezzanotte saremo imbarcati  per Parigi e il giorno dopo  saremo nelle nostre case.
A metà strada o poco più si scende per i bisogni fisiologici, chi dietro un cespuglio chi  nell’altro e  all’ombra di una pianta: poi  per uno spuntino, lasciando il cibo non  consumato accuratamente in una borsa di plastica e lasciato lì a due ragazzi increduli che erano nascosti dietro a degli arbusti e che  alla nostra partenza avrebbero raccattato nella polvere. Si riparte e verso le ore 16 si arriva nella capitale. Apriti o cielo: il centro cittadino è un unico mercato che con fatica conduce al mercato artigianale, nei dintorni in una specie di follia collettiva vorticano camion ,motorette e pedoni e tutti procedono alla rinfusa in un disordine ed in un frastuono terrificante. Trombe di furgoni, clacson delle scassate corriere, rombo di motori che lasciano la scia di  fumo nero, sirene della protezione civile, di un’ambulanza dentro tutto in una gara di rumori, è  meglio andarsene! A giorno ormai scuro ritorniamo  da Simphorien per una ripulita    dentro secchi di acqua  attinta con taniche dal pozzo in mezzo al cortile. Pila in mano per sistemare i bagagli e tutti a rifocillarsi seduti intorno ad un lungo tavolo. Manca poco alla partenza, tra il chiaro e scuro si sente un sordo rumore: che è stato ?? È Giorgio che ha sbagliato misura e ha sbattuto la capoccia contro il traverso di ferro che sorregge la copertura del bar, fortunatamente solo un graffio: si era pensato il peggio. Il gestore dell’esercizio alberghiero prima che partiamo per l’aeroporto omaggia tutti di una korà ciascuno: è uno strumento musicale a corda  caratteristico di questa terra. Alla gentilezza ricevuta seguono i dovuti ringraziamenti e via per il primo imbarco con Samuel a far da avamposto.
Si ritorna a casa: tutti in fila  nella sala delle partenze per la consegna dei bagagli e il ritiro dei due biglietti di ritorno da Bamako a Parigi e da Parigi a Verona.   Restiamo insieme in gruppo che in teoria si fa prima ma che in pratica  in barba all’avamposto è stato esattamente il contrario. Si avvertiva un’impreparazione che sfiorava la follia. I bagagli erano stati a malapena caricati ma dei biglietti di partenza non era dato di sapere che fine avessero fatto. Dopo un’ora alcuni biglietti vengono consegnati per poi essere ritirati e strappati, altri portano il nominativo di un altro passeggero e a taluni è stato consegnato un solo biglietto. In questa confusione all’ultimo minuto si sale sull’aereo che da lì a poco in ritardo prende il volo sotto un cielo stellato all’inverosimile. Il gruppo dei turisti per caso è sparpagliato, alcuni compagni di viaggio sono in prima classe con champagne e tarallucci altri  con la minerale sono in coda. Si  atterra all’aeroporto  parigino  bagnato da una pioggerella. Partiti male per ripartire ancora peggio poiché le operazioni di  controllo non hanno consentito all’intero gruppo di salire a bordo del velivolo che  ci avrebbe condotto tutti insieme  in Italia. Pazienza non c’è nulla da fare per il prossimo volo si devono attendere circa quattro ore, non sono poche e siccome oggi  vanno tutte storte gli appiedati da subito si installano nella sala del prossimo imbarco. Un po’ di letture, un giretto, uno spuntino offerto dalla compagnia aerea  che vuol farsi perdonare l’intoppo: le ore passano e arriva il momento di risalire il cielo per la volta della città di Giulietta e Romeo là dove l’amico Piero puntuale ci attende per riportarci alle nostre case. Sono le ore 18,45 di giovedì 5 gennaio, sono ritornato da dove ero partito nella piazzetta della chiesa San Rocco di Padergnone
Qui…termina il mio  viaggio in Africa di andata e ritorno dal Mali, un viaggio di “Incontro” là dove ho visto la povertà nella povertà, là dove ho incontrato preti e suore che sono i veri santuari da visitare, là dove ho incontrato l’uomo, àa dove ho visto tanti  bambini e ho  incontrato Gesù Bambino.




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