Ci sono degli aspetti che rendono l’esperienza di San (Mali) caratteristica rispetto ad altre esperienze di presenza in terra missionaria:
+ la più evidente è di entrare in contatto con una chiesa completamente locale: tutti i sacerdoti e i religiosi, il vescovo stesso, sono tutti africani, nati e cresciuti nella terra di San, ricchi della sua storia e tradizione, partecipi della sua povertà e della sua voglia di riscatto, impegnati nel cammino dello sviluppo del paese che è il loro paese
+ il contatto con questa chiesa è nato da un invito che, uno dei sacerdoti di San venuto a studiare a Roma, ha rivolto ad alcuni di noi per una visita di amicizia e di cordialità con la sua gente e i suoi parenti; non c’era alcun piano e programma, c’è stato solo l’accettare di incontrare e di conoscere altre persone
+ il fattore decisivo che ha animato il resto del cammino (che si è poi concretizzato nella costituzione del gruppo giovani Africa e nel coinvolgimento degli adulti) è stata l’accoglienza che ci è stata offerta: per cui ci è stato naturale sentirci a casa e/o in comunità e sentire la voglia di ritornare
+ questa accoglienza africana è poi continuata in una accoglienza italiana resa possibile dalla disponibilità della chiesa di San (con alcuni suoi sacerdoti e con la stessa figura del vescovo) a venire nel nostro paese per stare con noi, per conoscere e farsi conoscere: da qui un legame di amicizia e di fraternità frutto di incontri concreti
+ tutto questo lo chiamiamo “scambio di chiese”, condivisione (“partage”) e non tanto sforzo di impegno e di dono che parte dal più “forte” verso il più “piccolo/debole” (tutti i progetti che ne sono nati sono segnati da questa reciprocità dove nessuno è inferiore all’altro, dove non c’è solo chi dona e solo chi riceve): loro ci hanno insegnato che la missionarietà non è questione di raccogliere offerte e distribuirle qua e là, ma è coltivare i rapporti di scambio reciproco (che poi è il segreto di “fare eucaristia”)
+ la centralità dell’esperienza chiesa (quella parrocchiale italiana e quella diocesana maliana) favorisce con naturalezza l’allargamento di questa condivisione anche ad altre comunità cristiane
+ un altro fattore importante che ha reso continuativo e interessante il contatto è stata la scoperta di una comunità che annuncia il vangelo in modo convinto e profondo, ma con la capacità di legare l’annuncio e l’esperienza cristiana al cammino di sviluppo (“développement”)del paese
+ unito a ciò, c’è stata la scoperta di una comunità capace di una progettazione pastorale precisa, organizzata ed efficace, che supera la precarietà dell’improvvisazione e che non cade nella tentazione di abbandonarsi all’assistenzialismo o al paternalismo (quante volte ci siamo sentiti richiamati al loro voler essere soggetti del loro cammino, anche se i mezzi sono poveri e i tempi possono diventare lunghi)
+ un’altra caratteristica di questa esperienza maliana è stato il tipo di presenza e di azione dei giovani che sono andati a San lungo questi anni: non sono stati animati dalla voglia di costruire opere ed edifici, ma dalla volontà di entrare in contatto diretto con le persone, con i giovani, con le comunità locali in una relazione di ascolto, di scambio, di condivisione: ecco perché il loro progetto estivo si concretizza in un lavoro di interazione con i giovani che mira a una crescita della capacità di animazione
+ non possiamo dimenticare che questo progetto è nato dopo alcuni anni in cui gli stessi giovani andavano solo per incontrare, per stare in mezzo alla gente del luogo, senza alcun intervento diretto
+ gli stessi progetti (Centro giovanile – adozioni a distanza – centro cucito – gruppo musicale Zenuwè – sostegno ai sacerdoti -…) che poi sono nati accanto a questo “progetto giovanile”, che tutt’ora occupa il centro della nostra presenza, sono frutto di un ascolto della chiesa locale e sono il piccolo contributo che con i nostri sforzi siamo riusciti a raccogliere, ma nella coscienza che il soggetto di questi progetti sono i locali e non noi (questo significa che per ogni scelta e strategia di azione vengono interpellati i soggetti locali della chiesa)
+ anche gli adulti che negli anni successivi hanno accettato di rendere visita alla chiesa di San sono andati non tanto per “fare” ma per ascoltare, guardare, sentire (: l’invito che il vescovo all’apertura di ogni nostra visita ci rivolge)
+ anche nel cammino futuro di questa relazione rimarrà l’attenzione a queste caratteristiche di fondo (: accoglienza – interazione diretta con le persone - soggettività locale – scambio ecclesiale) e anche i nuovi eventuali interventi di giovani e di adulti saranno animati da questo spirito
+ siamo convinti che questa “tipicità” (vocabolo caro a p. Manuel) può diventare una ricchezza non solo per noi, ma anche in un confronto con altre presenze nella cosiddetta “terra di missione” che noi preferiamo pensare come “terra di condivisione”
Molto bene, bel diario!
RispondiEliminaSembra sempre così arduo abbattere muri, edificare ponti peraltro già solidissimi, avvicinarsi a qualcosa o qualcuno che semplicemente non conosciamo… bravo!