giovedì 19 gennaio 2012

In amicizia con i giovani di San... "Léger comme un papillon africain"


Ci sono degli aspetti che rendono l’esperienza di San (Mali) caratteristica rispetto ad altre esperienze di presenza in terra missionaria:

+ la più evidente è di entrare in contatto con una chiesa completamente locale: tutti i sacerdoti e i religiosi, il vescovo stesso, sono tutti africani, nati e cresciuti nella terra di San, ricchi della sua storia e tradizione, partecipi della sua povertà e della sua voglia di riscatto, impegnati nel cammino dello sviluppo del paese che è il loro paese
+ il contatto con questa chiesa è nato da un invito che, uno dei sacerdoti di San venuto a studiare a Roma, ha rivolto ad alcuni di noi per una visita di amicizia e di cordialità con la sua gente e i suoi parenti; non c’era alcun piano e programma, c’è stato solo l’accettare di incontrare e di conoscere altre persone



+ il fattore decisivo che ha animato il resto del cammino (che si è poi concretizzato nella costituzione del gruppo giovani Africa e nel coinvolgimento degli  adulti) è stata l’accoglienza che ci è stata offerta: per cui ci è stato naturale sentirci a casa e/o in comunità e sentire la voglia di ritornare

+ questa accoglienza africana è poi continuata in una accoglienza italiana resa possibile dalla disponibilità della chiesa di San (con alcuni suoi sacerdoti e con la stessa figura del vescovo) a venire nel nostro paese per stare con noi, per conoscere e farsi conoscere: da qui un legame di amicizia e di fraternità frutto di incontri concreti

+ tutto questo lo chiamiamo “scambio di chiese”, condivisione (“partage”) e non tanto sforzo di impegno e di dono che parte dal più “forte” verso il più “piccolo/debole” (tutti i progetti che ne sono nati sono segnati da questa reciprocità dove nessuno è inferiore all’altro, dove non c’è solo chi dona e solo chi riceve): loro ci hanno insegnato che la missionarietà non è questione di raccogliere offerte e distribuirle qua e là, ma è coltivare i rapporti di scambio reciproco (che poi è il segreto di “fare eucaristia”)

+ la centralità dell’esperienza chiesa (quella parrocchiale italiana e quella diocesana maliana) favorisce con naturalezza l’allargamento di questa condivisione anche ad altre comunità cristiane

+ un altro fattore importante che ha reso continuativo e interessante  il contatto è stata la scoperta di una comunità che annuncia il vangelo in modo convinto e profondo, ma con la capacità di legare l’annuncio e l’esperienza cristiana al cammino di sviluppo (“développement”)del paese

+ unito a ciò, c’è stata la scoperta di una comunità capace di una progettazione pastorale precisa, organizzata ed efficace, che supera la precarietà dell’improvvisazione e che non cade nella tentazione di abbandonarsi all’assistenzialismo o al paternalismo (quante volte ci siamo sentiti richiamati al loro voler essere soggetti del loro cammino, anche se i mezzi sono poveri e i tempi possono diventare lunghi)

+ un’altra caratteristica di questa esperienza maliana è stato il tipo di presenza e di azione dei giovani che sono andati a San lungo questi anni: non sono stati animati dalla voglia di costruire opere ed edifici, ma dalla volontà di entrare in contatto diretto con le persone, con i giovani, con le comunità locali in una relazione di ascolto, di scambio, di condivisione: ecco perché il loro progetto estivo si concretizza in un lavoro di interazione con i giovani che mira a una crescita della capacità di animazione

+ non possiamo dimenticare che questo progetto è nato dopo alcuni anni in cui gli stessi giovani andavano solo per incontrare, per stare in mezzo alla gente del luogo, senza alcun intervento diretto

+ gli stessi progetti (Centro giovanile – adozioni a distanza – centro cucito – gruppo musicale Zenuwè – sostegno ai sacerdoti -…) che poi sono nati accanto a questo “progetto giovanile”, che tutt’ora occupa il centro della nostra presenza, sono frutto di un ascolto della chiesa locale e sono il piccolo contributo che con i nostri sforzi siamo riusciti a raccogliere, ma nella coscienza che il soggetto di questi progetti sono i locali e non noi (questo significa che per ogni scelta e strategia di azione vengono interpellati i soggetti locali della chiesa)

+ anche gli adulti che negli anni successivi hanno accettato di rendere visita alla chiesa di San sono andati non tanto per “fare” ma per ascoltare, guardare, sentire (: l’invito che il vescovo all’apertura di ogni nostra visita ci rivolge)

+ anche nel cammino futuro di questa relazione rimarrà l’attenzione a queste caratteristiche di fondo (: accoglienza – interazione diretta con le persone - soggettività locale – scambio ecclesiale) e anche i nuovi eventuali interventi di giovani e di adulti saranno animati da questo spirito

+ siamo convinti che questa “tipicità” (vocabolo caro a p. Manuel) può diventare una ricchezza non solo per noi, ma anche in un confronto con altre presenze nella cosiddetta “terra di missione” che noi preferiamo pensare come “terra di condivisione”

1 commento:

  1. Molto bene, bel diario!
    Sembra sempre così arduo abbattere muri, edificare ponti peraltro già solidissimi, avvicinarsi a qualcosa o qualcuno che semplicemente non conosciamo… bravo!

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