
CONFLITTO INTERRELIGIOSO - Nell’oscurantismo praticato con sistematica violenza dai gruppi terroristici che hanno imposto la sharia su quasi due terzi del territorio del Mali, soltanto Allah può essere venerato. Così come in Tunisia e Libia distruggono mausolei sacri al sufismo (corrente spirituale dell’islam) e luoghi di culto musulmani e cristiani patrimoni dell’umanità “protetti” dall’Unesco. Tutto quello che è prova di culti più antichi e radicati del loro bieco salafismo o integralismo islamico, anche all’interno dello stesso islam, viene distrutto. Come i talebani con i preziosi Buddha di Bamiyan in Afghanistan.
FESTA ROVINATA - Timbuctu si è svegliata il giorno dopo la festa dell’Aid al Adha la festa musulmana del sacrificio del montone, con una nuova ferita. Il Centro di raccomandazione e divieto islamico, diventato - dalla presa della città da parte di Aqmi (Al Qaeda nel Maghreb islamico), Mujao (Movimento per l’unicità e la Jihad in Africa occidentale) e Ansar Addin (i «difensori della religione») - il nuovo centro del potere repressivo degli uomini con barba e turbante, ha stabilito che la distruzione del monumento, cominciato i primi giorni d’occupazione, doveva essere completato.
LA TESTIMONIANZA - Hibraim, un giovane abitante di Timbuctu che ha deciso di non scappare (come invece hanno fatto molti amici e quasi tutta la sua famiglia) racconta al telefono come la città abbia trascorso il giorno della festa in un clima surreale: «Le strade sono deserte, nessuno esce né ha voglia di festeggiare. Siamo terrorizzati. Pochi hanno sacrificato il montone. Sono mesi che non c’è lavoro e la gente non ha soldi neanche per l’Aid».
DIVIETO DI TRUCCARSI ALLE DONNE - Il racconto continua concitato, nonostante la linea disturbata: «La polizia islamica ha impedito alle donne di uscire a visitare i parenti, come si fa tradizionalmente. Hanno detto che se si truccano è bene che stiano in casa con il marito, non possono uscire. Per le nostre mogli è normale truccarsi per andare a trovare i parenti i giorni di festa». Hibraim è un buon musulmano come il 95% della popolazione del Mali, ma non condivide tale lettura reazionaria e anacronistica della religione. «Questa è gente venuta da fuori, che si finanzia con il traffico di droga e con i riscatti dei rapimenti di occidentali. Questo è terrorismo, non islam!».
EMERGENZA UMANITARIA - Negli ultimi mesi la situazione a Timbuctu, Gao e Kidal, i tre capoluoghi del nord del Mali, è degenerata fino a diventare un’emergenza umanitaria senza precedenti: esecuzioni, amputazioni, lapidazioni, stupri, arruolamento di bambini soldato. Oltre 400 mila profughi sono scappati al sud o in Paesi vicini, in fuga dalle vessazioni e da una grave crisi alimentare che sta flagellando la regione saharo-saheliana. Per questo l’Onu, l’Unione Europea e l’Unione Africana, riunitisi a Bamako lo scorso 19 ottobre, stanno accelerando i tempi di un intervento armato internazionale per liberare le regioni settentrionali del Mali.
PRODI, L’ONU E L’INTERVENTO - L’attesa risoluzione 20/71 votata dall’Onu all’unanimità il 12 ottobre, dà 45 giorni alla Cedeao (la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) per presentare un piano di guerra credibile e strutturato. La nomina dell’ex presidente del Consiglio italiano e dell’Unione Europea Romano Prodi a inviato speciale di Ban Ki-Moon nel Sahel esprime l’urgenza e l’impegno della comunità internazionale, decisa a sradicare la minaccia qaedista dalle sabbie del Mali.
I RINFORZI - Ma con l’avvicinarsi dell’intervento dell’esercito maliano e dei 3.300 soldati della Cedeao (che comunque non comincerà prima del nuovo anno, secondo fonti diplomatiche), le fila dei qaedisti si rafforzano di nuovi combattenti arrivati da Paesi vicini e lontani: Algeria, Mauritania, Tunisia, Egitto, ma anche Francia, Pakistan e Afghanistan. La galassia del terrorismo mondiale di stampo jihadista si sta dando appuntamento nel deserto del Sahara, diventato il suo santuario. Timbuctu non è mai stata tanto (pericolosamente) vicina all’Europa.
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